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Voglio i chips

Alitalia, volo per San Paolo. Cena: buona. Smettiamola di criticare sempre. Vini rossi: Nero d’Avola (va di moda, mi dice la hostess), un Toscano doc (vorrei evitare il nome). Il primo si capisce ancora, dall’aroma, che è figlio dell’uva, ma il secondo non è solo una scappatella della vite con il falegname, consenziente un enologo poco attento: paradossalmente è una bevanda che non dovrebbe più essere considerata vino.
Ora, dato che entrambi i prodotti sono del 2004 e a quei tempi la legge che ammetteva i chips ancora non c’era, i due vini dovrebbero essere chips free. Benissimo, allora vuol dire che per il Toscano sono state utilizzate le barrique che a differenza dei chips hanno ampiamenmte contribuito a tutelare il riflesso del territorio sul vino… Sì, ma non i territori della Toscana, bensì quelli occupati dalle belle foreste di Never, Allier, Tronçais. Tutte piantagioni di quercia che fanno ombra a Santa Maria Novella, quindi tipicissime per i vini toscani. 
Insomma, io non penso di essere molto titolato a parlare da esperto sui chips, sono un enologo e non un laureato in filosofia, e corro pure il rischio di fare arrabbiare il mio amico Zironi, ma dov’erano quelli che oggi cavalcano la tigre anti-chips quando l’Italia abbracciava il gallico rovere tingendo di esotico l’aroma dei nostri vini? Dov’erano quando le nostre piccole e medie aziende investivano miliardi di lire sulle barrique basandosi sull’onda di una promessa giornalistica? Dov’erano i verdi quando il mondo ha cominciato a tagliare querce per fare barrique? E poi, come fanno i chips a fare più male della barrique se le sostanze cedute sono le medesime?
Ora, proprio in questo ambito, mi sono convertito all’ecologia spinta e ho deciso che voglio i chips. Porterò in tribunale tutti i sindaci dei comuni detruciolati con l’accusa di ridurre il polmone verde del pianeta favorendo le barrique. Ma non mi fermerò qui. Chiederò al governo che metta a disposizione di ogni cittadino una congrua quantità di chips affinché possa chipparsi il vino in casa.

2 commenti

  1. Lizzy

    “dov’erano quelli che oggi cavalcano la tigre anti-chips quando l’Italia abbracciava il gallico rovere tingendo di esotico l’aroma dei nostri vini?”

    Dove siamo anche adesso, caro presidente. Se non ai blog (che sono arrivati di recente), ai nostri posti (leggi: PC e scrivanie) di combattimento.
    E ricordo ancora come ci inca…volavamo, noi, di fronte a certi vini.
    Incaz…come bisce. La volete piantare di massacrare i vini col legno, incompetenti wine-qualcosa che non siete altro??! Così si arrabbiava la sottoscritta. La quale, però, non essendo in forze a nessun potentato del regno…marino, contava come il 2 di picche a briscola (oggi, non sono ancora in forze allo stesso potentato, però conto quanto l’asso, sempre di picche. O almeno spero…).
    Non starò a ripeterti il mio “no ai chips” per motivi oggettivi e non solo ideologico- filosofici. Anche se ammetto che l’amico professor Zironi mi ha quasi convertita: meglio mezzo chilo di segatura che un quarto di foresta in meno sulla faccia del pianeta.

    Ho detto “quasi”.

    Infatti penso che continuerò a sostenere e a pretendere i vini “pure steel”, memore di un head-line (una volta si chiamavano slogan) assolutamente profetico (risale a tempi ormai lontani) del bravo Puiatti, produttore friulano:
    Save a tree, drink Puiatti! (i suoi vini infatti conoscono solo l’acciaio).

    Ora, seriamente. Il passaggio in legno, m’insegnano gli amici enologi (come te), è una cosa seria. Importante, forse persino necessaria, per alcune uve almeno. Il guaio è che tanti aspiranti Cipresso, Cotarella, Corino, D’Attoma, Lanati e via elencando – per citare gente che sa il fatto suo, e quindi, presumo, il legno lo sa usare, piccolo o grande che sia – hanno creduto che bastasse il “tocco di barrique” per sentirsi (e magari guadagnare…) come i Cipresso, Cotarella, eccetera, di cui sopra.

    Vedi cosa succede a lasciare oggetti pericolosi in mano ai bambini? Succede che si fanno male. Fanno male a se’ stessi e agli altri.

    E poichè il grado di acculturazione del 90% degli enologi italiani non mi pare sia aumentato granchè, da 5-8 anni a questa parte, non vorrei adesso che sostituire le barrique con i chips equivalesse a togliere di mano ai bambini di cui sopra la pistola del nonno, per sostituirla con una più efficiente P.38…

    Tu che dici? non è il caso di prendere di peso ‘sta gente, e rispedirla tutta dietro ai banchi, a re-imparare come si fa il vino??

    Lizzy

  2. Buon Giorno Luigi!!!
    Come stai? Non ti vedo da tanto tempo!!!

    Sono Io la brasiliana che é stata in Centro Studi in 2001 da Unesp, João Bosco, ricordi?

    E Michella come va?

    Vedo que il tuo figlio Carlo, adesso lavora con te, che bravo!
    Io sono a São Paulo lavoro in Alcoa con Garantia della Qualitá (ISO 9001, GMP) e sono molto contenta!

    Aspetto un saluto tuo!

    Baci
    Flavia

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