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Subcultura enoica

Sono seduto in un’enoteca, a Roma. Si respira aria di cultura del vino, in un ambiente religiosamente austero, dignitosamente moderno: un vero tempio di Bacco. Do le spalle a due enofili impegnati in una discussione intorno a un bianco di vaglia, uno di quelli che quando ordini un bicchiere ti arriva sì e no la quantità per bagnarti le labbra, ma il bicchiere è enorme, esagerato, come il prezzo del vino. Seguo involontariamente, ma sempre con maggiore interesse, la conversazione, tanto che, da un certo punto in poi, prendo appunti:
“E’ un vino con un apparato olfattivo molto complesso”, dice il primo dei due.
“Si, una bella mineralità”, replica il secondo.
“C’è il cedro, il pompelmo rosa, la buccia d’arancia e la pietra focaia”.
“Un po’ più freddo e un po’ meno caldo di quello che abbiamo assaggiato prima”.
“Già, al naso ha una lunghezza di un vino di una certa importanza”.
“Questo sicuramente dopo due o tre anni di bottiglia passa da un barocco a un romanico”.
“Sì, si riescono a coniugare potenza, franchezza ed eleganza; un vino che non va in larghezza, ma in profondità”.
“Vino di discreta concentrazione che gioca sulla complessità”.
Man mano che i due proseguono sento crescere la mia tensione interna: la voglia di sapere di che vino si tratta si fa prepotente, ma soprattutto si fa forte la rabbia per l’ignoranza che anni di professione intorno al vino non hanno cancellato. Non ho mai saputo per esempio che il vino avesse un apparato olfattivo (forse lo usa per valutare l’odore degli umani?), faccio difficoltà a comprendere la larghezza e la concentrazione nonostante a scuola mi abbiano insegnato un po’ di fisica, non sono mai riuscito a crearmi uno standard sulla mineralità, tentenno nell’identificazione del pompelmo rosa e anche sugli stili di diverse epoche applicati al vino. L’unica cosa che mi è stata subito chiara è che il vino più freddo era anche il meno caldo.
Bene, la sceneggiatura creata per il dialogo è falsa e i due enofili non c’erano. Ma le frasi sono tutte vere, pronunciate da un blasonato conduttore in un assaggio guidato. Ho voluto appuntarle perché nel commento di undici vini sono comparse molte volte e, se non erano le stesse, medesimi erano i termini (una trentina in tutto) più o meno oscuri che, combinati in modo differente, originavano la descrizione dei vini che si alternavano nei bicchieri.
Mi sto chiedendo quanto bene faccia al vino un linguaggio di questo tipo, quanto comunichi davvero qualcosa all’utente finale o se, più semplicemente, sia la via più breve per apparire intenditore segnando di fatto l’appartenenza a una categoria che si pavoneggia nella subcultura enoica che ha creato.

2 commenti

  1. Stò frequentando ilmaster in cultura gastronomica,e prima di questotre anni di corso da sommelier ,io non ho mai sentito tanto , si qualcosa sentivo ma non è per me , tutte quelle parole al vento per bere un vino, poi ci sono troppi vini e se stai dietro alle mode .Da un sommelier per aver detto che mi piaceva il vino sangue di giuda , ha gridato allo scandalo , ma insomma uno non è padrone di bere quello che gli piace ? Comunque il sapere non fà mai male ma pavoneggiare il sapere come fanno certi sommelier è troppo .Vic

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