Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Parlare di vino, quanta confusione

Impettito e rituale, il sommelier è al secondo giro del bicchiere: lo fa ruotare con consumata abilità facendo lambire al vino il bordo superiore, ma senza che una sola goccia abbia a trabordare. La descrizione del profumo l’ha già eseguita con eloquio fluente e colorito, ora ne preleva un sorso, modellando la bocca come se dovesse baciare, e sentenzia: “Bel vino, abboccato …”.

Il signore della prima fila lo incoraggia con un cenno del capo: avverte il dolce richiamato con l’aggettivo. La signora a lui vicina intende però tutta un’altra cosa e trova il sommelier un poco…  sboccato. Neppure il terzo della fila è d’accordo: per lui abboccato significa di gran corpo e deve riservarsi alla descrizione dei rossi.

Insomma, se fosse possibile mettere in evidenza con dei fumetti i pensieri dei presenti in sala si scoprirebbe che il vocabolo “abboccato” è stato interpretato come: gustoso, con una discreta dose di zucchero, morbido, con leggera tendenza al dolce, facile da bere, piacevole, che si beve, corposo, appena dolce, dolce e morbido al palato, tra amabile e dolce, con grado zuccherino superiore ai 50 g/L, leggermente dolce, che ha preso aria (ossigeno), morbido, di gusto pieno.

Siamo quindi ben lontani da avere, di fronte a questo termine gergale, un’univoca produzione di senso. E così succede per altre decine di parole che normalmente vengono usate con appagante piacere dai professionisti del mondo del vino: è quanto ha messo in evidenza una ricerca del Centro Studi Assaggiatori tutt’ora in corso.

Andando a vedere le definizioni riportati in manuali di degustazione scritti da professionisti del vino e/o in uso presso le associazioni dedite alla valutazione sensoriale del prodotto la situazione non è certo migliore.

Tre sono quindi le domande che ci poniamo: è davvero necessario parlare di vino in termini gergali? È giunta l’ora di mettere un po’ d’ordine nel vocabolario enologico? Un nuovo stile nel parlare di vino potrebbe migliorare la comunicazione del prodotto?

Già sul prossimo numero de L’Assaggio, quello dell’autunno, affronteremo l’argomento.

2 commenti

  1. Il vino è diventato un prodotto alla portata di tutti e in tutto il mono si reperiscono bottiglie di ogni località, tanta gente comune ama gustare il vino a cui piacerebbe sapere e riconoscere alcuni aspetti di essi, ma spero che arrivi presto il momento in cui qualcuno si occupi di creare una lingua appropriata per tutta la gente comune, come esiste per la lingua Inglese ( c’è chi lo studia e conosce alla perfezione ma essendo lingua mondiale è anche studiata in modo elementare tanto quanto basta per essere compreso da tutti) per tanta gente sarebbe fantastico e tanti aderirebbero a queste iniziative.
    Il centro studi assaggiatori sarebbe perfettamente in grado di farlo, ma in questo campo esiste ormai una casta dove girano milioni di euro l’anno, e in questo momento mi piacerebbe conoscere il parere a riguardo da qualcuno ….all’interno di questo campo.
    che ci risponde il Maestro Odello a riguardo ?
    cordiali saluti
    Mauro Cosentino
    Artigiano del gusto

  2. susanna

    Il vino va raccontato, credo sia di fondamentale importanza cercare di trasmettere quel che c’è dentro ogni bottiglia ma soprattutto il lavoro che c’è dietro ognuna di esse. Il vino è materia viva e ritengo che quando se ne parla occorre trasmettere emozioni comprensibili tanto dagli addetti ai lavori quanto dai simpatizzanti…in sostanza:le schede tecniche sarebbe meglio farle nelle opportune sedi.
    La casta è una realtà posso però dire che mai come qui a Roma se ne avverte il peso.
    Un’appassionata sommelier

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