Per essere un buon panel leader bisogna saper leggere il pensiero e le emozioni dei giudici. Tornare per un giorno giudice di un grande panel è una buona cura per i vizi dei panel leader e un modo per aprirsi a nuove visioni e capire ancor meglio quanto l’analisi sensoriale sia un esercizio di condivisione.
Quando si è abituati a vivere i test, i concorsi, le certificazioni da dietro le quinte, tornare a effettuare una valutazione nelle vesti di giudice è quasi un piccolo trauma. Questo è quello che è capitato trascorrendo una giornata di test sul caffè nel ruolo di assaggiatore.
Un giudice che è anche panel leader sa esattamente cosa sta accadendo in sala, cosa succede nel locale di preparazione dei campioni, cosa passa per la testa del panel leader che guida il test e intercetta stimoli e momenti di delicata gestione del gruppo.
La possibilità di vivere un giorno da giudice fa anche ricordare e capire con occhi diversi perché la grande macchina organizzativa dell’analisi sensoriale è strutturata in modo fisso e al tempo stesso adattabile. Sì, perché tutto deve funzionare in modo perfetto per dettare i tempi al panel, ma deve essere abbastanza flessibile per poterne seguire le necessità.
Il panel leader torna a scoprire cosa significa avere pause troppo lunghe tra un campione e l’altro, capisce in che modo certi giudici possono distogliere l’attenzione e disorientino durante i preliminari del test. Tutte cose, queste, che un bravo conduttore già conosce, ma sperimentare sulla propria pelle la noia suscitata da un giudice troppo puntiglioso che durante una taratura viene educatamente riportato nel gruppo dal panel leader, è sempre un’esperienza su cui riflettere.
E allora è possibile capire quanto la taratura sia per un giudice il momento più delicato di tutto il test. Ogni panel leader è abituato a confrontarsi con giudici che contestano la mediana, che vogliono per forza dire la propria opinione o addirittura imporre le loro idee di giudice monocratico. Solamente vivendo la taratura nelle vesti di giudice il panel leader può però ricordare quanto sia impellente la voglia di affermare in modo assolutistico “No! Questo caffè aveva almeno 6 di acidità!” o, “ma come hanno fatto a non sentire il floreale in questo campione?”
La ragione rammenta poi che forse proprio quel giorno e in quel momento potresti essere tu a percepire gusti e aromi in modo diverso e singolare, che forse è la tua personale esperienza o il tuo umore a fare discostare i tuoi giudizi dalla mediana del gruppo. Con una grande dose di umiltà quindi si rinsavisce e si accetta la mappa della realtà fornita dal gruppo. E questo è il punto: un giudice deve essere umile e il panel leader deve ricordare sempre quale sforzo di umiltà sta chiedendo a ogni singolo individuo coinvolto nel test.
Come non capire quindi l’esperto del settore, il produttore, il giornalista che, non avvezzi a questa disciplina, faticano a comprendere l’importanza del giudizio del gruppo? E questo è il punto cardine dell’analisi sensoriale e l’obiettivo di tutti i panel leader, sensorialisti o comunicatori che fondano il proprio lavoro su questa metodologia: rendere le persone anche più esperte consapevoli dell’importanza dell’altro.
L’analisi sensoriale è una disciplina di condivisione o, come mi hanno suggerito ultimamente proprio dei bravissimi giudici, una scienza democratica.