Immaginatevi di buon mattino a Tokyo: alle spalle una serata finita un po’ tardi in compagnia di tre go di saké (un go equivale a 180 millilitri), davanti un ragazzo di un bar di Starbucks gentilissimo e impietoso. Siete entrati solo per prendere una pasta e un espresso, perché è il bar più vicino all’hotel. Non apprezzate molto i neri chicchi che sono nella campana di una macchina automatica, perché li immaginate a 50°C di temperatura almeno. Ma tanto sono già neri di loro, e a notare dall’aspetto di caffeina ne hanno ed è quello che in quel momento vi occorre. Volete un espresso.
Il ragazzo impietoso vede che non avete gli occhi a mandorla e si rivolge a voi in inglese, gentilissimo davvero, con tanti sorrisi che fate fatica a trovarli in dieci bar italiani. Ma è impietoso: non gli basta sapere che volete un espresso, vi chiede se singolo o doppio, con questo o con quello. Cercate nella vostra mente una frase che vi permetta di dirgli che volete un espresso, solo un semplice espresso, come lo fanno lì, senza farvi idee strane sul suo profilo sensoriale. Per la pasta è più facile: gliela indicate nella vetrina. Finalmente batte lo scontrino, pensate che ora vi farà l’espresso, ma vi sbagliate: sullo scontrino c’è una scritta lunga lunga che termina con cinque quadrati. E lui vi spiega con dovizia di particolari che andando in internet sul sito indicato e rispondendo alle domande che vengono poste riceverete un numero che, inserito sullo scontrino e riportato al punto vendita, vi dà diritto a una consumazione gratis. Pensate che sarebbe stato semplice velocizzare il tutto dicendogli di sì anche senza avere capito? Pia illusione: il ragazzo è fedele agli obiettivi posti dall’impresa, vi legge negli occhi che non avete capito e rispiega la cosa fino a quando non è certo della vostra comprensione.
Sappiamo benissimo che dare un’istruzione a un nipponico equivale ad azionare un meccanismo senza ritorno, ma per quanto l’esperienza in quel frangente sia stata fustigante merita una riflessione: dunque Starbucks si preoccupa di cosa pensano i suoi clienti, li vuole conoscere meglio per poterli soddisfare, anche quelli come noi che non riuscirà mai a convincere fino a quando vedremo chicchi neri tenuti nel forno a maturare.
Forse a torto, ma siamo convinti che la maggioranza degli imprenditori e dei baristi italiani abbiano in animo di conoscere perfettamente cosa pensano i loro clienti. Se le cose vanno male è colpa della crisi, o del sindaco che dà troppe licenze e quindi ci sono troppi bar, o della concorrenza che fa prezzi stracciati. Il cliente non si interroga mai, anche se ci sono sistemi veloci ed economici. Però nel solo Giappone Starbucks ha 1.000 bar. Il prossimo potrebbe essere nella vostra piazza. Perché avrà scoperto che i vostri clienti non sono soddisfatti.
E nei settori diversi da quelli del caffè, quanti Starbucks ci sono? Forse l’epoca delle sfere di cristallo sta terminando, ma sono in molti a crederci ancora e quindi a rifiutare le moderne indagini sul consumatore.