Nove giudici e cinque vini rossi, derivati da due tra i più nobili vitigni italiani, con prezzo oscillante tra i 10 e i 500 euro a bottiglia sono stati i protagonisti di un test eseguito prima con la luce bianca (6.000 °K, in pratica la luce solare) e poi con luce monocromatica rossa. I dati, sottoposti a elaborazione statistica con Big Sensory Soft non hanno di fatto messo in evidenza differenze significative tra i due tipi di illuminazione.
Detto così si potrebbe pensare che i giudici siano entrati in una specie di automatismo di scala e non abbiano discriminato tra campioni, invece hanno trovato molte differenze significative tra un vino e l’altro, ma non tra il medesimo campione valutato a luce bianca e a luce rossa, nonostante che non fosse solo variata la tonalità, ma anche l’intensità luminosa. Non basta certo un esperimento per generare una legge, ma di primo acchito possiamo pensare che giudici sensoriali di provata esperienza e dotati di una grande preparazione, quindi fortemente allenati a lavorare con olfatto, tatto e gusto, riducano automaticamente la nefasta influenza che ha molte volte la vista e siano in grado di non lasciarsi ingannare dalle apparenze.
A dire la verità ci aspettavamo che i bei riflessi viola che caratterizzavano i due vini più giovani potessero trarre in inganno i giudici, ma così non è stato. Questo conferma la realtà incrementata di cui godono i degustatori: non solo sono molto più sensibili ai dettagli, ma imparano soprattutto ad “avere naso”, vale a dire a percepire ciò di cui un consumatore normale non ha coscienza.
Sul prossimo numero de L’Assaggio in uscita a marzo sarà pubblicata la sperimentazione.