Paolo Marolo, enotecnico della scuola di Alba e poi professore della medesima, fu chiamato a ripristinare il corso di erboristeria, quiescente per mancanza di docente. Fu così che si trovò tra storte e alambicchi in una zona che eccelle nel panorama mondiale per la produzione di vini di qualità, Barolo in primis.
Il richiamo della grappa, pensando a cosa si poteva ricavare da vinacce ancora grondanti di mosto che si era fatto vino dopo lunghe macerazioni, fu così forte che, nel 1977, fondò una propria distilleria. La sua competenza tecnica gli consentì una doppia rottura con il passato, certo di fare un prodotto superiore valorizzando il riflesso del territorio. Non si rivolse quindi alle classiche caldaiette allora in voga, decisamente rapide ma che enfatizzavano troppo gli aromi di testa rendendo la grappa di vinacce rosse decisamente pungente, bensì ai pigri alambicchi bagnomaria di stile trentino. E, tra i primi, cominciò a distillare separatamente non solo i singoli vitigni, ma addirittura i cru di Nebbiolo e delle altre varietà piemontesi.
Così dopo quarant’anni ha festaggiato la sua carriera di grappaiolo blasonato proprio nell’Istituto che lo aveva visto prima allievo e poi professore, circondato da un centinaio di persone che, come dice lui, gli vogliono bene. Ma soprattutto con una splendida relazione tenuta dal figlio Lorenzo che ha dimostrato di sapere valorizzare alla grande l’eredità ricevuta dal papà. Non poteva mancare la degustazione di una grappa prodotta per siglare l’evento: una grappa di Barolo invecchiata 10 anni in fusti del Barolo chinato. Troppe poche le bottiglie prodotte per poter essere conosciuta su larga scala, troppo intrigante per lasciarsela scappare.