Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Ma la vogliamo finire?

Non ci risulta che l’uomo sia riuscito a migliorare quanto fa la natura, ma ci sono note decine di tentativi che ha fatto per ottenere artificialmente quanto già esiste. Questa volta tocca al caffè. Un articolo pubblicato ieri da Quotidiano.net racconta con dovizia di particolari che la startup americana Atomo ha annunciato la creazione di una bevanda che scimmiotta il caffè definendo l’artefatto addirittura più buono dell’originale.
Noi non l’abbiamo ancora assaggiato, ma ci permettiamo, con un terribile atto di supponenza, di non crederci. La nostra mente è infatti straordinaria nella percezione e può essere ingannata solo nel momento in cui razionalmente vogliamo convincerci di qualcosa, altrimenti il nostro olfatto invia stimoli che in un lampo sono analizzati per arrivare a una intuitiva risposta su ciò che buono e che fa bene. Non è sufficiente utilizzare le stesse molecole, occorre anche rispettare i rapporti con i quali stanno tra loro per ingannarlo. Ma c’è di più: noi conosciamo solo le molecole presenti che gli strumenti in uso ai chimici riescono a riconoscere, ma il nostro cervello percepisce anche molte di quelle che non conosciamo ancora. Pensateci un attimo: fino a qualche lustro fa si parlava di 750 molecole presenti in un caffè, poi di 1.000, oggi di 1.500. Non è che prima fossero assenti, è semplicemente che non riuscivamo a rilevarle.
Mi dico: perché invece di impegnare risorse per cose inutili (e forse dannose) questi soloni non si applicano per gestire al meglio ciò che la natura produce? Di migliorare il caffè in tazza ce n’è bisogno in una poderosa quantità di casi. Ma forse il lavoro silente non paga, per raggiungere la notorietà occorre qualcosa di eclatante. A partire dal superato naso elettronico che ogni tanto si riaffaccia sulla scena.