
L’arte sopraffina di generare blend di successo con i vini.
E’ impensabile fare un ottimo vino da una unica vigna, con un’unica vendemmia, unica fermentazione e unica botte, anche per i vini derivanti da un’unica varietà di uva. Quindi l’eccellenza di quanto finisce in bottiglia la raggiunge il blender, un personaggio curioso per natura, con una notevole propensione alla sperimentazione, dotato di un’ottima preparazione scientifica e un’ampia visione di quanto fa scattare l’emozione nei consumatori. Ma non basta, il blender deve possedere una filosofia di spessore: non è infatti sufficiente che il vino sia buono, serbevole e quindi longevo, come si richiede ai prodotti pregiati, ma deve anche essere rappresentativo e fedele allo stile di un territorio. Il risultato finale viene raggiunto con molta pazienza e molto tempo a disposizione. Tempo per provare e riprovare, ma soprattutto riassaggiare le prove di blend a distanza di un’ora, un giorno, una settimana e se possibile un mese. In presenza di matrici complesse come il vino – in cui interagiscono pH, potere tampone, formazione di esteri e altro ancora – l’equilibrio non è immediato. In questo è insito il maggiore valore del blender, vale a dire la capacità di immaginare cosa succederà alle diverse partite una volta che saranno unite. Non è una competenza innata, un dono di natura, ma una dote che si acquisisce mediante lo studio dell’analisi sensoriale e l’approfondimento del lessico per percepire di più, ma anche per avere confronti costruttivi con panel di valutazioni interni ed esterni che operano secondo le regole scientifiche dell’analisi sensoriale. Potremmo dire che la magia di un blender è tanto più grande quanto sono profonde le sue conoscenze e la sua capacità di interazione con il mercato.
E’ impensabile fare un ottimo vino da una unica vigna, con un’unica vendemmia, unica fermentazione e unica botte, anche per i vini derivanti da un’unica varietà di uva. Quindi l’eccellenza di quanto finisce in bottiglia la raggiunge il blender, un personaggio curioso per natura, con una notevole propensione alla sperimentazione, dotato di un’ottima preparazione scientifica e un’ampia visione di quanto fa scattare l’emozione nei consumatori. Ma non basta, il blender deve possedere una filosofia di spessore: non è infatti sufficiente che il vino sia buono, serbevole e quindi longevo, come si richiede ai prodotti pregiati, ma deve anche essere rappresentativo e fedele allo stile di un territorio. Il risultato finale viene raggiunto con molta pazienza e molto tempo a disposizione. Tempo per provare e riprovare, ma soprattutto riassaggiare le prove di blend a distanza di un’ora, un giorno, una settimana e se possibile un mese. In presenza di matrici complesse come il vino – in cui interagiscono pH, potere tampone, formazione di esteri e altro ancora – l’equilibrio non è immediato. In questo è insito il maggiore valore del blender, vale a dire la capacità di immaginare cosa succederà alle diverse partite una volta che saranno unite. Non è una competenza innata, un dono di natura, ma una dote che si acquisisce mediante lo studio dell’analisi sensoriale e l’approfondimento del lessico per percepire di più, ma anche per avere confronti costruttivi con panel di valutazioni interni ed esterni che operano secondo le regole scientifiche dell’analisi sensoriale. Potremmo dire che la magia di un blender è tanto più grande quanto sono profonde le sue conoscenze e la sua capacità di interazione con il mercato.
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