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L’evoluzione delle schede di assaggio

Un foglio bianco era – e in certi casi è – una perfetta scheda di assaggio. Lo era per Giovanni da Milano intorno all’anno Mille quando così descriveva un vino: “Fa che perfetto sia nel sapore/ d’ottimo odor, splendente e colorito/ di chiaro, bello e rubino colore. / Fa che il tuo vin sia grato e saporito/ formoso, freddo, fresco, anco frangente/ forte, cioè potente, over ardito”. Come lo era un migliaio d’anni dopo per il meno prosaico Luca Maroni che, sempre di un vino, scriveva:
“Una dolcezza tonda e vaporosa di balsamico latte, suadente come una caramella di ribes ricoperta di glassa mentosa”.
Fondamentalmente pare che, allora come ora, non vi sia bisogno di schematismi, ognuno di vino – così come di ogni altra cosa – ne scrive come vuole.
Questo è, ma non per tutti, perché dal momento che la percezione deve essere espressa e condivisa da un gruppo occorre uno strumento che lo consenta. Per questo si fa risalire convenzionalmente la scheda di assaggio al 1312 quando Filippo IV il bello, re di Francia, istituì l’organizzazione dei Sensali-Buongustai-Degustatori di vini. Così, dal bisogno di codificare un metodo, nacque la scheda che è o può essere:

  • l’emblema del metodo;
  • la guida per l’assaggio;
  • il suggeritore della percezione;
  • il metro di misura della percezione;
  • il mezzo per registrare la percezione;
  • lo strumento per trasformare il giudizio in valore;
  • un modulo per garantire la valutazione uniforme di più persone.

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