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Quando il caffè cattivo fa danno

Qualche tempo fa, quando ancora abitavo in Austria, ho avuto per pranzo un amico tedesco. Alla fine del pasto ho spontaneamente cominciato a preparare il caffè con la mia moka elettrica, che fa parte del corredo, seppur essenziale, per la permanenza all’estero. Mentre armeggiavo col caffè, una banale miscela da supermercato, l’amico mi blocca. Fermi tutti! Io non bevo il caffè italiano. È troppo amaro, troppo astringente, troppo tutto, preferisco quei beveroni che vengono fuori dalla mia macchina per l’americano (o il solubile del discount!).

moka

Da brava padrona di casa, non lo accontento e lo forzo ad assaggiarlo. Dovevo prepararlo comunque per me, il resto l’avrei tenuto per colazione. Una caffettiera da quattro non andrà così sprecata, mi dico. Ed il mio amico? L’ho visto illuminarsi a sentire il profumino di biscotti e tostatura che saliva su dalla moka insieme all’eruzione dell’oro nero, l’ho visto sorseggiare dapprima dubbioso, quindi sorpreso e infine affascinato, chiedendomi come mai questo caffè qua fosse così tanto più buono di quello del bar. Lo stupore per la scoperta è stato tale che ha bevuto il suo e finito il resto, portandosi via anche il mio barattolo di polvere per sperimentarlo a casa.
La morale è: se qualcuno assaggia un caffè pessimo, è possibile che decida che tutti i caffè siano pessimi.