Sensory News

Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Società Italiana Statistica, ed è subito analisi sensoriale

La storia custodisce gelosamente il segreto su chi per primo pensò di utilizzare la statistica applicata all’analisi sensoriale. Ma perché l’ha fatto? Era così bello assaggiare e poi avviarsi in discussioni senza fine dove ognuno poteva avere ragione o torto, senza che nessuno potesse mai scoprirlo! E poi nessun senso di colpa per guidaioli e recensori che potevano far vanto dell’esperienza per validare i loro giudizi. La statistica ha cambiato il mondo dell’assaggio: dichiara la probabilità che una valutazione sia ripetibile, pone le basi affinché sia affidabile e si permette persino di giudicare i giudici.

Negli ultimi vent’anni la statistica ha permeato così tanto l’analisi sensoriale che a sua volta l’analisi sensoriale ha permeato la statistica. Prova evidente è l’intera sessione che verrà dedicata alla nostra disciplina nel convegno della storica (è stata fondata nel 1939 e oggi vanta più di 100 organismi aderenti e più di 1000 associati) Società Italiana di Statistica che si terrà presso l’Università degli Studi di Brescia al Dipartimento di Economia e Management il 19, 20 e 21 giugno.

Sono tre le sessioni dedicate all’argomento che vedranno come relatori Amenta, Levaggi, Vigneau nella prima sessione, Lussignoli, Odello, Manisera e Vezzoli nella seconda e Qannari nella terza. Mario Fregoni, presidente dell’International Academy of Sensory Analysis è stato chiamato a presiedere la sessione “Sensory Analysis in action”. Ma non si farà solo dell’accademia: il 19 pomeriggio gli statistici avranno la possibilità di verificare la loro abilità di giudici sensoriali: guidati da Luigi Odello eseguiranno un’analisi su due vini della guida di Altroconsumo 2013. I dati verranno poi elaborati e confrontati con le valutazioni emerse dagli esperti e riportati sulla guida. Chissà che gli aromi del vino non possano essere forieri della creazione di nuove tecniche statistiche per l’analisi sensoriale.

Dillo con un video profumato

La sinestesia, questo corto circuito tra sensi, può produrre effetti fantastici. I grandi dell’arte la usano intuitivamente: da essa nascono piatti prelibati e vini fantastici, ma anche opere visive capaci di generare emozioni al punto di fare venire l’acquolina in bocca o il desiderio potente di godere di qualcosa afferente al canale cinestesico (tatto, gusto e olfatto).

Non abbiamo ancora letto di video capaci di riportare alla mente un profumo, ma Manuele Cecconello, Narratore del gusto, in un cortometraggio dedicato all’Espresso Italiano si è avvicinato molto a questo obiettivo.

Narrare il caffè non è facile, perché a differenza del vino l’italica tazzina comunica poco mantenendo nel più assoluto riserbo i valori di cui è portatrice. Forse che l’aroma del caffè è così sublime (quando è buono) da non avere necessità di essere comunicato? Parrebbe di sì, visto che nel mondo si compiono miliardi di atti di consumo al giorno. L’Espresso Italiano ha però la necessità di comunicare la sua supremazia aromatica rispetto alle altre preparazioni e quindi l’Istituto Nazionale Espresso Italiano ha fatto produrre un video emozionale per comunicarlo.

È in grado di evocare il profumo e l’aroma di una tazzina eccellente? Ditecelo voi: lo potete vedere al sito www.espressoitaliano.org.

La Tordela tiene a battesimo il Codice Sensoriale del Vino

Nell’ambito del food il vino è sicuramente il prodotto che registra la maggior quantità di libri sulla degustazione, la più folta schiera di scolarizzati del gusto e il maggior numero di valutazioni sensoriali. Dunque qual è la necessità di un nuovo sistema per spiegarne il percepito? L’esigenza nasce dalle tecniche innovative messe a punto dai Narratori del gusto per la conduzione di seminari da tenere a neofiti ed enofili in cui i protagonisti siano i partecipanti e l’apprendimento sia il frutto di un’attività ludica, seria ma non seriosa.

Il Codice Sensoriale del Vino non è solo un libro, ma un sistema narrativo compendiato da una serie di diapositive, da mappe sensoriali e altri elementi da utilizzarsi nell’accoglienza dei visitatori nelle aziende enologiche, durante i seminari che si svolgono in ristoranti, hotel, fiere nazionali e internazionali, nonché in ogni altra occasione. L’innovazione risiede nella formula adottata: ogni argomento è a senso compiuto (quindi l’apprendimento risulta molto più facile) ed è associato a esercitazioni che portano immediatamente alla decodifica del territorio e della tecnologia che hanno scolpito i caratteri sensoriali del vino.

Ieri è stato presentato ai leader dei Narratori del gusto nel workshop che si è tenuto a La Tordela di Torre de’ Roveri (BG), una bella azienda con 25 ettari di vigneto che può vantare in Federica Bernardi la più giovane brand ambassador del movimento dedito alla comunicazione innovativa del vino.

Il Codice Sensoriale del Vino ha registrato un’accoglienza superiore alle attese da parte del qualificato pubblico presente giunto da ogni parte d’Italia. Giornalisti, produttori vitivinicoli, sommelier qualificati, sensorialisti e assaggiatori lo hanno trovato consono per portare una ventata di aria fresca nella comunicazione del vino.

Il piacere è una crescente attesa del consumatore, perché non certificarlo?

2004 persone si sono descritte sotto il profilo sociodemografico, hanno dichiarato le loro abitudini di acquisto e di consumo e poi hanno valutato una serie di prodotti di loro interesse: vini, caffè, grappa, acqueviti e liquori. Ne abbiamo ricavato 8.974 test accuratamente registrati su scheda: questo è il bel risultato ottenuto dall’isola sensoriale organizzata a Vinitaly con Grappa & Co Tasting, Coffee Experience e Narratori del gusto Special Guest.

Per tutte le categorie di prodotti emerge che la principale leva di consumo è il piacere che l’utente ricava con l’atto. Un utente che vuole imparare a valutare le caratteristiche sensoriali per acquisire autonome capacità di scelta e che nutre un crescente interesse nei confronti di una certificazione sensoriale.

E in un’importante riunione tenuta a Verona c’è chi ha chiesto che cosa distingue la carne della macelleria da quella del supermercato. Sostanzialmente due cose: le caratteristiche sensoriali e il fatto che in macelleria si trova qualcuno in grado di spiegarle. Ottimo, partendo da questi due presupposti si palesano tre fattori per garantire il successo di un prodotto: che sia di alta qualità percepita, che questa venga garantita (ecco la certificazione sensoriale) e che sia narrata.

La qualità igienica è ormai data per scontata e l’origine è un elemento di narrazione che acquista valore solo se esplicitato, quindi in futuro sarà il piacere a determinare il successo di un prodotto. Sarà però necessario indicare in modo chiaro e certo al consumatore quali sono i prodotti che danno piacere e fornirgli le opportune indicazioni per incontrarli. Il primo obiettivo sarà raggiunto dalla certificazione sensoriale, per il conseguimento del secondo ci sarà un grande concorso del web, attraverso la geolocalizzazione e altri mezzi della categoria.

Assaggiare per creare

Non basta seguire una ricetta per fare un grande prodotto, prima bisogna assaggiare, solo così si possono creare abbinamenti unici. Questo fa la differenza tra un bravissimo chef e pasticcere e un Maestro, tra un buon prodotto e una creazione. È l’assaggio di ciò che modelleremo che permette di rendere unico il risultato.

In questo modo Ernst Knam, famoso Maestro Pasticcere (Ampi), narra come rende irripetibile ciò che fa. Con la stessa passione Mauro Cosentino, “artigiano del gusto” della Puglia, mi racconta che con preziosi esperimenti e ricerche cerca di offrire al suo pubblico tutti gli aromi della materia prima che lavora. Non diversa è la profondità di espressione del percepito che i professionisti dell’Ortomercato di Cagliari mi rivelano parando dell’unicità delle caratteristiche sensoriali dei carciofi della loro terra.

Mai come ora saper assaggiare in modo consapevole, prendere coscienza del proprio percepito per poter prendere delle decisioni e per poter guidare consapevolmente la propria passione è fondamentale. Mai come ora è necessario essere in grado di trasmettere e narrare ciò che rende unica e irripetibile l’esperienza sensoriale offerta dalla propria arte. Conoscere la sensorialità per poter trasferire appieno il risultato della propria creazione, comunicare la propria passione, le emozioni che ne hanno stimolato l’origine, e il lavoro intenso, attento e professionale che l’hanno resa possibile.

Esiste uno metodo in grado di offrire gli strumenti che permettano di conoscere la sensorialità delle materie prime e che stimolino la ricerca di un linguaggio appropriato per esprimere il percepito. Esiste un potente mezzo che offre da un lato la scientificità e la metodologia di una disciplina, dall’altro  la libertà e affettività del vissuto di ciascuno di noi: questa è l’analisi sensoriale.

Nasce l’amplificatore sensoriale

È di questa settimana la notizia che il progetto Eidos del Royal College of Art di Londra ha partorito una maschera capace di incrementare la realtà consentendo all’udito e alla vista quasi superpoteri. In poche parole potremo comprendere discorsi e percepire suoni provenienti da punti precisi isolandoli da rumori, potremo vedere movimenti di oggetti e soggetti come al rallentatore, cogliendone quindi particolari che ora sfuggono anche al più acuto degli osservatori.

È di venerdì scorso una brillante relazione di Marco Bergamaschi al Club dell’innovazione che mette in relazione la difficoltà di comunicazione dovuta al sovraffollamento stesso dei mezzi di comunicazione, con la conseguenza che la forma tende a prevalere sui contenuti.

Mettendo insieme le due notizie di cui sopra ci scappa una riflessione. La realtà incrementata è unicamente rivolta ai sensi mediati: vista e udito. Olfatto, tatto e gusto ancora una volta sono lasciati in disparte, né più né meno di come succede con le moderne di forme di comunicazione in cui prevale largamente la distanza, impedendo a ognuno di noi di sentire l’odore del nostro interlocutore, di stringergli la mano, di cogliere il suo respiro. Tutto questo progredire dei canali mediati ci porterà immancabilmente verso una maggiore superficialità e una cronica mancanza di emozioni autentiche. Il cibo della mente, di cui i cosiddetti sensi animali sono prodighi, si farà più scarso e meno saporito, di conseguenza saremo forse un po’ più tristi e alcuni di noi persino emaciati.

C’è un modo per tornare a una “dieta bilanciata”? C’è e può essere divertente almeno quanto un videogame, sicuramente più appagante: riappropriarsi del nostro canale cinestesico. In analisi sensoriale lo si esercita moltissimo, insieme ad altre persone, costituendo relazioni profonde attraverso metodi di sicuro effetto ludico. La nostra disciplina attinge infatti molto dall’analisi transazionale e dalla programmazione neurolinguistica consentendo a tutti di godere di una realtà incrementata. Ma nel modo giusto, non quella che può derivare da specchi deformanti.

La contaminazione per la crescita dell’analisi sensoriale

Parlare di contaminazione fa sempre un po’ di paura, anche quando si parla di contaminazione culturale. Eppure domani a Brescia, all’università, nel Dipartimento di Economia e Management, si svolgerà una giornata davvero singolare i cui partecipanti vivranno tre momenti capaci di arricchirli proprio perché generati da entità molto diverse tra loro.

A iniziare la giornata sarà l’International Academy of Sensory Analysis con una tornata dedicata all’applicazione della statistica nell’analisi sensoriale dei vini. Per molti di noi sarà un po’ come tornare a casa, visto che è a questo dipartimento che dobbiamo il notevole sviluppo, cominciato esattamente 15 anni fa con gli accademici statistici Dancelli, Brentari e Carpita, registrato dalla nostra analisi sensoriale. Se non avessimo avuto vicini tecnici delle scienze statistiche in grado di darci gli strumenti per validare i metodi innovativi che via via mettevamo a punto non avremmo mai potuto conseguire progressi così importanti. Ottimo terreno di incontro e di sperimentazione furono i cinque master di analisi sensoriale che seguirono, varati dal prof. Mario Fregoni, allora ordinario di viticoltura all’Università Cattolica e oggi presidente di Iasa.

Nel corso dell’incontro saranno anche presentati gli elementi di buona prassi per l’esecuzione dei test di analisi sensoriale, il primo  documento di orientamento del nostro Paese volto a dare dei riferimenti precisi agli operatori per garantire agli utenti della disciplina risultati attendibili, affidabili ed esaustivi derivanti dalle valutazioni sensoriali.

A metà giornata si incontreranno i Narratori del gusto, sorti dall’applicazione dell’analisi sensoriale alla narrazione dei territori e dei loro prodotti tipici e tradizionali, per lasciare poi il podio al Club dell’Innovazione, un sodalizio nato per riunire quanti per professione o per vocazione sono dediti all’innovazione nei settori in cui operano.

Il carattere originale della giornata non sarà tale solo per i contenuti, che sicuramente lo saranno, ma anche per la concomitante presenza di competenze così diverse tra loro che non mancherà di essere di stimolo a tutti, consentendo a ognuno di avere visioni più ampie e quindi di progredire nel proprio settore.

La scoperta dell’olfatto

La scorsa settimana ad Alma, la Scuola Internazionale della Cucina Italiana, si sono conclusi gli esami finali del tredicesimo corso di pasticceria. Leggendo le tesi scritte dagli studenti, una in particolare ha catturato la mia attenzione. Colgo pertanto l’occasione per proporvi di seguito questa riflessione estrapolata dalla tesi di uno studente che riassume in breve cosa sia l’olfatto e quale magica scoperta porta il rendersi conto che tutti noi abbiamo un naso!

“Analisi sensoriale è stata una delle materie che mi ha colpito di più perché mi ha dato la possibilità di comprendere qualcosa in più sul funzionamento dei nostri sensi, soprattutto per quanto riguarda il gusto e l’olfatto, che tutti noi abbiamo scoperto funzionare in modo errato nella maggior parte delle persone.

Immaginate di vivere i primi ventotto anni della vostra vita convinti che esista il “gusto” di fragola, certi di poter riconoscere senza problemi la differenza di aroma tra una mela e una pera… E poi fate un test che senza possibilità di errore afferma che tutto quello in cui credevate non era vero. È stato strano perché quando la professoressa Bagna ci ha spiegato come funzionava l’olfatto il mio primo pensiero è stato: “Ma che cavolate sono, come mai non esiste il “gusto” fragola?”. Credo che la mia espressione insieme a quella dei miei compagni avesse chiarito senza possibilità di errore che non credevamo a quello che ci era appena stato detto. A quel punto ci venne fatto fare un test semplice ma chiarificatore.

La professoressa diede una caramella zuccherata incolore alla fragola a ognuno di noi, dicendoci di tenerla in bocca con il naso tappato in modo da bloccare gli aromi. Ovviamente in bocca sentivamo solo il dolce della caramella e nient’altro. Poi ci disse di stappare il naso e a quel punto tutto l’aroma della fragola fu rilasciato in bocca. Come spiegazione ci disse: “Quello è l’aroma della fragola, quello che sentite adesso è l’olfatto non il gusto, il gusto era il dolce”. Che scoperta, pensai.

Avevamo appena scoperto l’olfatto e da quel momento sarei stato pronto ad ascoltare tutto quello che c’era da sapere su questo senso. Era come se qualcuno fosse venuto a bussare sul mio naso per dirmi “guarda che esisto anche io”. Il venire a conoscenza delle funzioni di questo senso è stato molto interessante e devo dire che questa materia mi ha permesso di aprire molto la mente. È proprio vero che spesso le cose non sono come sembrano.

Durante la stessa  lezione abbiamo anche imparato come l’olfatto fosse il senso che meno si lasciasse ingannare tra i cinque a nostra disposizione e di come invece la vista fosse il più impreciso.

Personalmente non credevo che l’olfatto potesse influenzare le nostre vite a tal punto, ma me ne sono reso conto quando, dopo quella lezione tornai a casa da Colorno e respirai a pieni polmoni  appena entrato in casa quell’odore così familiare e unico che subito mi fece sentire tranquillo e rilassato, un odore completamente diverso dall’appartamento di Colorno. Era proprio quell’odore a farmi sentire a casa mia, che mi faceva sentire così e non l’arredamento o quello che vedevo. Questo a dimostrare quanto l’olfatto, che avevo scoperto da poco, mi stesse già influenzando. Sicuramente lo faceva anche prima, ma ora c’era la cosa più importante: la consapevolezza.”

È innovativo esportare analisi sensoriale

Il claim del Centro Studi Assaggiatori è da qualche tempo “analisi sensoriale per l’innovazione”. Non è solamente un’esternazione dell’orgoglio per quanto abbiamo fatto in questi anni in analisi sensoriale (che potrebbe suonare antipatico se tradotto in arroganza), ma soprattutto una promessa di quanto vogliamo fare in futuro.

A questo proposito ci ha fatto riflettere quanto ci ha scritto Claudio Martini dall’Australia, un cittadino italiano che non riesce più a scrivere velocemente nella nostra lingua, ma ancora la legge: “Ho avuto notizia della scomparsa del signor Bonollo nella tua newsletter della quale sono un abbonato avido da qualche tempo. Il tuo sito web e la newsletter contribuiscono positivamente alla diffusione dei piaceri gastronomici italiani. Inoltre ci rendono gelosi delle autenticità inimitabili che si possono solo assaporare in Italia.”

Ho tradotto dall’inglese che non è il mio forte, quindi la traduzione non è letterale, ma sono certo che il senso e lo spirito sono questi.

Proprio per questo torno su due punti che mi rendono polemico da sempre: se da una parte i nostri prodotti alimentari vanno all’estero senza una foto sul passaporto (passando dai disciplinari ai catologhi il festival di descrizioni sensoriali generiche, consunte e vacue migliora di poco), dall’altra non si è ancora compreso che lo strumento strategico che consente agli stranieri di apprezzare la nostra grandezza alimentare è costituito dall’analisi sensoriale.

Dalla nostra analisi sensoriale, da quella che è stata costruita intorno alle nostre tipicità e si è evoluta trasformandosi in un potente strumento narrativo, tanto da originare una nuova figura professionale: i Narratori del gusto. In questo siamo almeno alla pari dei francesi, solo che loro hanno a disposizione mezzi e consensi per esportarla, mentre da noi, come al solito, si fa con mezzi propri. Nonostante questo il successo non ci manca: quest’anno un corso su quattro dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè è svolto all’estero, e dietro ci vanno attrezzature e miscele per preparare l’Espresso Italiano. Per contro a Vinitaly ci si domandava come mai in Cina la Francia fa da sola il 50% del mercato del vino: qualcuno ha pensato di andare a vedere come ha conquistato questa posizione o le nostre indagini di mercato si limitano ai volumi e ai valori delle vendite?

Rendere buyer e opinon leader, ristoratori e baristi, consapevoli delle scelte e portarli a scoprire il talento che c’è nei nostri prodotti significa renderli nostri ambasciatori all’estero. Pensate allo splendido lavoro che ha fatto Alma, la scuola internazionale di cucina di Colorno, negli ultimi due lustri e non vi sarà difficile scoprire che la formazione è la chiave per l’apertura dei nuovi mercati.

Isola sensoriale: a Vinitaly ha funzionato alla grande

I dati sono in elaborazione, ma da un primo conteggio si evince che in quattro giorni all’isola sensoriale, organizzata e gestita a Vinitaly nel padiglione Agrifood Club dal Centro Studi Assaggiatori, più di 2.300 persone hanno fatto un’esperienza di assaggio codificato su scheda prendendo coscienza della qualità di grappa, acqueviti, liquori, caffè e vini da dessert. Sì, perché quest’anno, ai tradizionali Grappa & Co (venticinquesima edizione) e Coffee Experience (V edizione), si è unito il Narratori del gusto Special Guest dedicato ai vini da dessert.

Insomma, utilizzando gli indici di assaggio per partecipante dello scorso anno i test eseguiti e puntualmente codificati sarebbero circa 13.000, in crescita quindi  rispetto al 2012.

Su questo dato – che un po’ strabilia anche noi – vorremmo fare una riflessione. A chi viene a un banco di assaggio gestito con la metodologia Stratus Tasting sono necessari dai 10 ai 15 minuti di lavoro prima che possa eseguire la degustazione. Al partecipante è infatti richiesto di profilarsi dal punto di vista sociodemografico e di dichiarare le proprie preferenze e le abitudini di acquisto e di consumo. Tutte notizie che saranno poi correlate alla valutazione che esprime originando così un vero report sulle tendenze di mercato.

Considerando che ogni visitatore ha a disposizione centinaia di stand nei quali può fare degustazioni di prodotto senza doversi sottoporre a un faticoso questionario, diventa interessante comprendere perché lo fa, visto che ogni essere vivente non compie alcun sforzo se non pensa di ricavarne un vantaggio competitivo. Sostanzialmente il premio per i partecipanti a uno Stratus Tasting è costituito da tre elementi:

  • la possibilità di esplorare un universo in perfetta calma e tranquillità, in un ambiente neutro nel quale non ha la paura di avere sollecitazioni commerciali;
  • la possibilità di essere seguito da esperti ricevendo informazioni e scambi di idee avulse da ogni logica di vendita;
  • sentirsi protagonista attraverso i giudizi che esprime, imparando qualcosa di nuovo anche sul metodo di assaggio.

Parlando con alcuni dei partecipanti e realizzando qualche esperienza personale (come resistere a quasi 200 prodotti che vogliono essere il top di quello che c’è sul mercato?) ci siamo fatti un’opinione sulle tendenze dei tre settori considerati:

  • caffè: stanno emergendo delle vere eccellenze che si staccano verso l’alto rispetto alla media del mercato, miscele che potranno  originare un verso rinascimento dell’espresso, soprattutto quello del bar. Ma sono più difficili da preparare, per cui avremo necessità di avere baristi più bravi, dotati di grande motivazione e di grande passione;
  • grappe: i produttori non dimostrano di avere le idee chiare sulle due categorie emergenti, le morbide e le invecchiate. Le prime molte volte sono zuccherose, ma mancano di vera suadenza perché pungenti e sono frequentemente carenti nel tondo fruttato e nell’accattivante floreale. Le seconde non di rado promettono con il colore quello che poi non mantengono con l’aroma;
  •  vini da dessert: è un settore che consente scoperte di grande interesse sensoriale, una nicchia sicuramente destinata a crescere. Ma non basta che il vino sia dolce, il livello di eccellenza si gioca sulla complessità aromatica a lunga persistenza.