Sensory News

Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

La burocrazia e l’aberrazione della percezione

Al termine di uno degli ultimi pranzi autunnali consumati in un gradevole dehors di un ristorante sito nel centro storico di una bella città del Nord, chiedo il conto con fattura alla cameriera e mi sento rispondere: “Prima però mi deve firmare la privacy”.

Attonito e stizzito, la prima cosa che mi passa per la mente è quella di dirle che sarà l’unica volta che avrò un vantaggio dalla complicata legge sulla privacy italiana, perché non firmando la liberatoria ritengo di essere esentato dal pagamento del conto.

Niente da fare, la cameriera giunge con un bel modulo e, più stizzita di me, dice con fare imperioso: “Me lo compili”. Per rispetto ai miei ospiti, per non protrarre oltre la diatriba, glielo firmo, le do l’intestazione e la carta di credito.

Poi rifletto sull’aberrazione della sua percezione: l’esasperazione di una regola (da quando per avere una fattura dobbiamo anche firmare la liberatoria della privacy?) ha cancellato dalla sua mente che se non esistessero i clienti non avrebbe più da preoccuparsi delle formalità, ma solo di trovarsi un altro posto in cui percepire uno stipendio per poter vivere. Ma non posso non pensare all’aberrazione del consulente che ha prescritto al ristorante una simile prassi e al proprietario che l’ha accettata supinamente.

Non voglio andare oltre pensando di quante pagine sarà il manuale di buona prassi igienica di questo esercizio e del tempo che impiega il cuoco per compilare i moduli anziché occuparsi di rendere felici i clienti.

Insomma, non è il caso che cominciamo a fare una seria riflessione su tutto quello di inutile e dannoso che facciamo?

Prosciutti da medaglia

Dei concorsi, soprattutto di quelli enologici se ne parla sempre diffusamente, ma forse non tutti sanno che esistono e si stanno sempre più diffondendo competizioni che coinvolgono altre tipologie di prodotti come gli oli, i formaggi e i salumi.

Alla base c’è sicuramente la voglia dei produttori di mettersi in gioco con le proprie specialità e di voler ottenere una valutazione del prodotto sia dal punto di vista critico che sensoriale. Questa esigenza nasce anche dalla necessità di poter comunicare che il prodotto non solo risponde a determinati requisiti legislativi e di qualità, ma soprattutto soddisfa i sensi. Quale modo migliore esiste se non quello di metterlo in gara con i concorrenti, facendoli valutare da giudici esperti e formati in analisi sensoriale?

Per citare un esempio: si è recentemente concluso a Parenzo, in Istria Croazia il quinto concorso internazionale dedicato al prosciutto. Alla competizione hanno partecipato varie categorie di prosciutti con e senza cotenna, affumicati e non per un totale di 24 campioni. Il concorso, svoltosi con regolamento simile a quelli delle gare enologiche, ha premiato i prodotti migliori con l’attribuzione di medaglie. L’assegnazione è avvenuta in funzione dei punteggi ottenuti da ciascun prodotto nelle valutazioni delle commissioni composte da giudici competenti e formati in analisi sensoriale.

In questo caso dunque, la giuria di valutazione era composta da esperti di analisi sensoriale formati dal Centro Studi Assaggiatori, con un addestramento a giudice qualificato. I piani di assaggio sono stati formulati da panel leader, anch’essi formati dal Centro Studi Assaggiatori: questo ovviamente rafforza l’importanza dei risultati ottenuti. In molti casi infatti, sia la gestione dell’intero concorso che gli assaggi sono gestiti dai produttori stessi o da amatori del prodotto che non hanno alcun tipo di formazione in analisi sensoriale. Ovviamente questo porta il più delle volte a errori e imprecisioni che pregiudicano i risultati finali.

Ben vengano dunque i concorsi per qualsiasi tipo di prodotto, basta assicurarsi che veramente le commissioni rispettino i canoni e seguano le regole dell’analisi sensoriale, così da essere certi di ottenere valutazioni attendibili e imparziali.

La bottarga: l’oro di Sardegna

“La bottarga di muggine è un alimento di origini povere e antiche che in Sardegna vanta una tradizione secolare” spiega Maria Cristina Dore, responsabile R&D di Paideia, la società che recentemente ha ospitato a Cagliari un corso tenuto dal Centro Studi Assaggiatori. Questo prodotto dal sapore deciso, dai profumi forti e dalla grande persistenza aromatica è stato il protagonista e l’oggetto di studio del corso.

Denominato oro di Sardegna in virtù del suo colore simile al metallo antico, si sposta nella gamma dell’arancio arricchendosi di una piacevole lucentezza e omogeneità dei toni cromatici. Se nel vedere il letto di fettine ambrate adagiate sul piatto degli aperitivi lascia incerti, non si può restare indifferenti di fronte alla loro intensità aromatica.

“Compatta, morbida, piacevolmente lucida, riserva un caleidoscopio di note che vanno dal sapido allo speziato passando per i gusti cari ai pescatori e alla loro tradizione di pesce essiccato e fresco, crostacei e frutti di mare per giungere al vegetale tipico delle alghe care agli orientali anch’essi estimatori e produttori di bottarga”, prosegue la Dore.

Inconfondibile la persistenza amarognola che anche dopo l’assaggio continua a pervadere la bocca. Insomma, un filo dorato che unisce culture e gusti.

I concorsi enologici hanno ancora senso?

“Siamo unici” ha detto Enrico Rota. Modesto e riservato per natura, ci ha colpito un po’ questa affermazione del nuovo/giovane presidente del Consorzio Valcalepio pronunciata riferendosi al concorso enologico internazionale Emozioni dal Mondo: Merlot e Cabernet insieme di cui si è svolta la settima edizione.

Rota si riferiva al fatto che il concorso bergamasco è rimasto l’unico in vita in Italia tra gli internazionali monotematici per vini con denominazione di vitigni. Gli altri hanno gettato la spugna, mentre Emozioni dal Mondo cresce di anno in anno. Volendo andare a vedere il perché troviamo il pensiero, determinato e limpido, di Sergio Cantoni, che in sette edizioni l’ha reso un evento davvero mondiale portando la piccola realtà enologica del Valcalepio sulla scena internazionale con un dispendio di risorse irrisorio.

Cantoni ha il merito di avere capito il potenziale dei concorsi enologici sotto il punto di vista della comunicazione generata dalle relazioni tra le persone. Ecco il perché di 63 giudici provenienti da 18 nazioni diverse, il ritmo tranquillo delle valutazioni (sicuramente utile per giudizi più equi e fondamentale per la crescita dei commissari attraverso relazioni umane e professionali importanti), la scelta di cornici suggestive (quasi sempre castelli o dimore gentilizie), un ricco programma culturale per fare conoscere le ricchezze di Bergamo coronato da cene di gala d’altri tempi e convegni capaci di aprire una finestra sul futuro.

Se il valore di un vino è davvero determinato dal terroir, questo è il terroir del Valcalepio e questo è il miglior modo per esprimerlo.

In Italia abbiamo esempi mirabili di organismi enologici che sono riusciti a mettere insieme milioni di euro per fare promozione ai loro vini senza riuscirci. Il Valcalepio costituisce un esempio mirabile di come si possa fare una promozione efficace spendendo poco. Il segreto? Gli ingredienti della ricetta sono tre: continuità, caparbietà, capacità.

Vendere il vino, ma con stili

Centinaia di clienti, dalle drogherie alle macellerie agli ambulanti. Un assortimento di centinaia di referenze a listino, di ogni tipologia, denominazione e prezzo. Qual è il rischio? Che ogni venditore, a seconda di background, formazione e preferenze, familiarizzi maggiormente con una parte del listino e in qualche modo si specializzi nel venderla al meglio; a discapito però delle referenze meno note.

Un approccio diverso consiste nel suddividere il listino in parti, organizzandole in modo che acquisiscano un significato e sia più facile orientarsi al loro interno. È come organizzare una biblioteca: un elenco di libri casuale è poco utile, in ordine alfabetico è già qualcosa, per argomenti è decisamente più applicativo.

Quale criterio utilizzare per organizzare dei vini? Il sistema più classico va per tipologie (bianco o rosso, fermo frizzante o spumante, da pasto o da dessert…) e per territorio. Ma anche così le referenze per gruppo sono molte, ed è facile scegliere sempre le stesse.

Il metodo scelto dalla Sdc rivoluziona questo approccio. Il listino viene suddiviso in unità complete di ogni tipologia, che possono essere proposte a un cliente come un pacchetto completo; ma ogni pacchetto è studiato per una certa tipologia di cliente in base allo stile. Ogni gestore ha il suo stile, che si riflette nell’aspetto e nella gestione del suo locale o negozio, nella scelta dei prodotti che fa e di conseguenza nella clientela che sceglie di frequentarlo. Saper riconoscere lo stile di ogni cliente e consigliare prodotti coerenti significa facilitare al cliente la scelta e la vendita al suo pubblico e di conseguenza vendere meglio.

Il lavoro ha quindi implicato diverse fasi: innanzitutto la divisione del listino in stili di vino, trasversali alle tipologie e ai territori. Gli stili si intendono come dei criteri sensoriali di preferenza: un vino rosso fermo può piacere perché è elegante e sofisticato o perché è rude e sincero, a seconda di chi lo consuma. Per capire quali caratteristiche fanno di un vino un prodotto elegante o rude e quale tipo di pubblico le preferisce ci si è basati sulla ricerca dal Centro Studi Assaggiatori sulla personalità sensoriale dei prodotti, compiuta nell’arco di otto anni attraverso test sul consumatore e di laboratorio. Il risultato è stato l’individuazione di un assortimento completo di vini per ognuno dei seguenti stili: raffinato, tradizionalista, pratico, deciso, rude. Il kit di vendita è corredato inoltre da un questionario che permette di individuare facilmente lo stile del cliente attraverso l’aspetto del negozio e il suo assortimento, il comportamento del gestore e il tipo di clientela che frequenta il luogo, suggerendo le argomentazioni di vendita più adatte. Il progetto è culminato in una giornata di formazione ai quaranta venditori, che ha illustrato il listino in modo pratico attraverso l’analisi sensoriale (compiuta alla cieca su scheda) e la spiegazione di una serie di 16 vini rappresentativi di ogni tipologia e stile.

Commenta così Antonio De Bellis, Marketing Director presso Sdc-Lekkerland, i risultati a cui ha portato questa nuova metodologia di vendita: “A due mesi dall’effettuazione del corso, si è verificato un aumento significativo della base dei clienti trattanti la merceologia vino: +9,4% il dato ad anno mobile, con un conseguente aumento delle vendite breve periodo e delle prospettive di crescita strutturale”.

Presentare il territorio con le guide sensoriali

Che cosa può fare un ente di concreto e reale per il suo territorio? Molto spesso assistiamo a vani tentavi di associazioni o consorzi che, anziché sfruttare e mettere in risalto le qualità di un prodotto tipico o un territorio unico al mondo, ne sprecano l’incredibilità per l’incompetenza nel gestire una corretta ed efficace comunicazione.

Ma una nuova chance per una divulgazione moderna e innovativa ci viene offerta in questo senso dall’analisi sensoriale, che facendo leva su basi scientifiche e nello stesso tempo utilizzando metodi originali e modalità esclusive, permette di comunicare in modo unico un prodotto raggiungendo così tanto il consumatore quanto il turista.

In che modo l’analisi sensoriale ci offre questa possibilità? Lo fa formando figure come quella della Guida Sensoriale, che è in grado di condurre attraverso la sensorialità la propria audience alla scoperta di un territorio o di un prodotto tipico. Grazie infatti a un adeguato periodo formativo, raggiunge le competenze adatte e scopre le modalità più giuste per comunicarne le caratteristiche.

Il corso per Guide Sensoriali, condotto dal Centro Studi Assaggiatori lo scorso luglio, per l’Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero, ci fa capire come anche un territorio – che di per sé non avrebbe bisogno di grandi presentazioni come neppure i suoi prodotti tipici – come quello piemontese, si sia affidato all’analisi sensoriale per trovare quella forza comunicativa in più, supportata dal fondamento scientifico, per arricchire la propria capacità di promozione.

Mauro Carbone, direttore dell’Ente Turismo Alba Bra Langhe Roero, ci racconta che i turisti non chiedono soltanto di visitare una cantina, ma di provare, testare, vivere, capire il mondo del vino. Il modo migliore per farlo è dare vita a una professionalità capace di raccontare un territorio, la sua storia, i suoi prodotti, una figura che sia un po’ sommelier e un po’ guida turistica.

Delle Guide Sensoriali, dunque, che partendo dalle nozioni apprese durante il corso e dagli spunti pratici testati personalmente, saranno in grado di rendere il territorio più vivo e dunque emozionalmente più coinvolgente per tutti quanti avranno la volontà di ascoltarle.

L’evoluzione dell’analisi sensoriale

E’ uscito il nuovo numero de L’Assaggio, la nostra rivista di analisi sensoriale (e l’unica in Italia a trattare solo di questo tema). Anche stavolta abbiamo voluto spaziare, trattando tanti temi diversi tra loro: tequila e mezcal, il caffè del futuro, ma anche quello del presente in Emilia Romagna, la shelf-life del vino e uno studio sul linguaggio utilizzato per definire le sue caratteristiche, nonché alcune note scientifiche su come la cottura influisce sulla chimica e sulla sensorialità degli alimenti.

Un numero ricco di spunti che mi ha dato l’occasione per fare il punto della situazione dell’analisi sensoriale e valutare la direzione che sta prendendo negli ultimi tempi.

Quando arrivo l’analisi transazionale – modello psicologico che lo stesso suo creatore, Eric Berne, definì di autoanalisi e di sviluppo personale – i freudiani non la presero bene, nonostante i transazionalisti non si ponessero in antagonismo con loro. Per i freudiani la nuova disciplina mancava di profondità e di scientificità. Nonostante l’avversione dei puristi, l’analisi transazionale ebbe successo, non solo perchè in grado di tradurre gli astratti concetti della psicoanalisi in termini concreti e pragmatici, ma anche perchè consente una facile e chiara comunicazione.

Se ci e consentito un parallelo, senza essere considerati presuntuosi o irriverenti, potremmo dire che un po’ la stessa cosa e avvenuta e sta avvenendo in analisi sensoriale. Nessuno nega i presupposti e gli studi statistici e metodologici storici che stanno alla sua base, ma se non fosse nata una nuova filosofia capace di renderla più pratica, facile da comprendere e utile, probabilmente sarebbe rimasta relegata ad ambiti ristrettissimi. Questa nuova filosofia ha avuto il merito di dare anche una nuova funzione alla materia nel campo del marketing, ampliando i metodi e fornendo nuovi strumenti per la preparazione dei giudici. Queste tecniche si sono poi rivelate utilissime anche nel campo della comunicazione sensoriale interpersonale e dello sviluppo delle capacita percettive delle persone. Insomma, vent’anni fa per fare analisi sensoriale occorreva affittarsi uno statistico, i test erano decisamente più costosi e davano una quantità di  informazione molto più bassa di quelli attuali. Ma, soprattutto, il recente passato vedeva l’analisi sensoriale relegata nel controllo qualità e nell’R&D, mentre oggi e sempre più al servizio di tutte le aree nell’azienda.

L’evoluzione della disciplina non e di certo giunta al capolinea: il futuro sta in un impiego ancora maggiore della psicologia per la preparazione dei giudici e dei panel leader che li devono motivare e guidare, ma anche della scienza della comunicazione per dare valore commerciale ai risultati ottenuti attraverso l’analisi sensoriale.

Perché i giapponesi sono così bravi ad assaggiare?

Se un giorno avrete a che fare con la formazione sensoriale di un gruppo di giapponesi vi accorgerete che giungono molto prima della media di altri gruppi a discriminare i campioni in base alle differenze sensoriali e alla collimazione sui valori espressi dal gruppo. In poche parole, giudizi discriminati e attendibili: giusto quello che si attende ogni panel leader.

A che cosa sono dovute queste performance superiori alla media? Dai primi elementi che emergono possiamo generare tre elementi di ipotesi: maggiore disciplina, maggiore attenzione interna, maggiore orientamento all’obiettivo.

Sì, i giapponesi sono disciplinati, credono in chi insegna e fanno esattamente quello che viene detto loro. Altre popolazioni di fronte a una richiesta si fanno mille domande: perché devo fare questo? Non c’è un modo migliore per farlo? Se provo a farlo così, cosa succede? Il giapponese no, per prima cosa prova a fare quello che gli si chiede e se non giunge al risultato ci riprova: non è suo abito mentale cercare responsabilità esterne ai suoi fallimenti.

E poi i giapponesi hanno una notevole capacità di rivolgere l’attenzione al loro interno. Cerchiamo di spiegarci: un italiano che deve valutare un parametro, si chiede per prima cosa qual è la risposta giusta, quindi l’attenzione è rivolta verso l’esterno, mentre un giapponese si chiede cosa sente e con quale intensità, portando quindi immediatamente la sua attenzione verso l’interno e riducendo di conseguenza il nefasto effetto distorsivo della razionalizzazione sulla risposta.

Ultima cosa, ma non di minore importanza, è il congenito orientamento all’obiettivo dei giapponesi, inteso anche in senso sociale. Il più ridotto individualismo di questa popolazione rispetto ad altre porta più facilmente alla formazione del gruppo nel senso intellettuale del termine.


Esempio di taratura con scheda Big Sensory Test Avanzato su un campione di Espresso Italiano di un gruppo di giudici giapponesi che non ha mai lavorato insieme: si noti la collimazione. Su alcuni parametri è davvero eccellente, su altri è sicuramente superiore alla media.


Nel vino c’è ancora troppa poca analisi sensoriale

Sono stato relatore recentemente al convegno del Groupe International d’Experts en Systemes vitivinicoles pour la CoOpération (Giesco). Nell’occasione ho presentato una ricerca del Centro Studi Assaggiatori sugli Syrah italiani.

Voglio però riportare uno spunto di riflessione del prof. Fregoni, presidente dell’International Academy of Sensory Analysis. Il prof. Fregoni ha preso la parola ponendo l’attenzione sul fatto che l’analisi sensoriale è ancora troppo poco utilizzata come metodo di valutazione nell’enologia. Infatti ha constatato come i risultati ottenuti nella maggior parte dei lavori presentati al convegno stesso, si sono basati esclusivamente sulle valutazioni finali ricavate dall’analisi chimico-fisica dei prodotti.

Il prof. Fregoni ha sottolineato, invece, che sono le caratteristiche del prodotto a interagire con i sensi del consumatore: è dunque necessario utilizzare maggiormente l’analisi sensoriale come metodo di verifica e valutazione dei risultati ottenuti, mentre l’analisi chimico-fisica può essere aggiuntiva a quella sensoriale, ma non può sostituirla.

Un’osservazione interessante che certamente pone l’accento sulla molteplicità di strumenti a disposizione dei professionisti del vino e sulla necessità della loro padronanza da parte di quest’ultimi.

E’ la coerenza che fa di un descrittore un generatore edonico?

Provate un attimo a pensare al caso in cui vi comprate un dessert alla vaniglia e alla prima cucchiaiata spicca l’acido, pur in un contesto di setosità tattile dovuta alla presenza di grassi e a un dolce decisamente evidente. Istintivamente vi fate l’idea di un prodotto non buono.

Al contrario: vi comprate una di quelle creme di yogurt alla vaniglia arricchite con zucchero, zucchero d’uva, crema di latte e sciroppo di glucosio-fruttosio. Anche in questo caso spicca l’acido, ma lo trovate molto buono.

Perché? Nel caso in questione la parola “yogurt” vi genera l’attesa di un prodotto acido e siete ben felici di trovarvi in presenza di un dolce accentuato e di una buona morbidezza. Fino a questo momento avete mangiato yogurt solo attratti dal nutrirvi in modo dietetico e salutare, con un prodotto del genere (anche se lo yogurt è solo uno degli ingredienti) potete anche concedervi un pizzico di infantile piacere.

Molte volte quando si formula un prodotto non si tiene conto dell’attesa di coerenza che esercita la presentazione sul suo fruitore. In realtà questa gioca un ruolo fondamentale nel decretare il successo sensoriale. Se un carattere è fuori dal nostro schema, immediatamente siamo assaliti dal sospetto e quindi valutiamo meno bene il prodotto in questione.

In poche parole: se vi passa vicino una bella ragazza con un profumo eccellente la sinestesia che si genera potrebbe farvela apprezzare molto di più, ma se passa un elefante con lo stesso profumo dubitiamo fortemente che possiate trovarlo più attraente.