Sensory News

Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Perché non fare una certificazione sensoriale?

Se è vero che il primo obiettivo di un vivente è la sopravvivenza, è altrettanto evidente che il secondo sia vivere bene. Ne consegue che, in ambito alimentare, la garanzia igienica sia prioritaria, subito seguita da quella sensoriale. Ma c’è di più: mentre la prima, al momento dell’acquisto, si dà per scontata, la seconda è tutt’altro che certa e si potrà scoprire solo ad acquisto eseguito e conto saldato, quando cioè si apre la confezione e si assaggia. Per molte referenze, ma non per tutte, perché una serie di produttori riuniti nell’Istituto Eccellenze Italiane Certificate sottopone i propri prodotti alla certificazione sensoriale con l’obiettivo di garantire il piacere al fruitore del bene migliorando così la qualità della sua vita. Ma come si fa a realizzare una certificazione sensoriale? L’ha spiegato il prof. Gian Paolo Braceschi al workshop che si è svolto presso la Sweet Academy del Gruppo Grondona (Grondona, Bonifanti, Bocchia).

Nei vini preferisci sentire il profumo del sotolone o del caprifoglio?

Che rispondereste voi se vi venisse fatta una simile domanda? Se non siete dei chimici per il primo potreste essere giustificati, trattasi di un lattone percepibile in vino, ma anche in rum. sakè e salsa di soia. Potrebbe forse esservi d’aiuto il fatto che sia stato identificato come sciroppo d’acero, curry, fieno greco, melassa o mallo di noce. Capite che anche andando per analogia la situazione non migliora di molto: quanti sanno identificare il fieno greco o il mallo di noce? Abbiamo pensato che il Caprifoglio potesse essere più comprensibile e quindi abbiamo fatto una piccola indagine su Linkedin, ma con una raccolta in tre giorni di 4024 impressioni, tra i rispondenti solo il 3% ha dichiarato di saperlo identificare con certezza, il 20% è in forse e il 77% ha detto di no.

La questione non è banale: noi continuiamo a parlare di vino in modo ermetico, senza curarci della cultura di chi ci ascolta, senza quel minimo di empatia che potrebbe renderci simpatici.

Il relatore che, roteando il bicchiere, esordisce trovando il trifoglio lodigiano di secondo taglio si sente sicuramente un’esperto alla pari di chi vanta la presenza della rosa bulgara cresciuta sulla riva sinistra del Danubio, ma gli uditori come reagiscono intimamente a simili performance? Sul fatto che siano attratti verso l’enofilia e che si affezionino al vino abbiamo qualche dubbio. Qualche caso comunque esiste e di certo seguirà le orme del maestro escludendo così i più dal volersi avvicinare a una delle bevande più ricche, emozionanti e appaganti che l’homo sapiens abbia inventato.

Esiste un’altro modo di narrare, quello che hanno messo a punto in dieci anni di onorata attività i Narratori del gusto. È ancora riservato a pochi, ma chi lo utilizza è in grado di raccogliere ampi consensi, di avvicinare i giovani e di coinvolgere in qualsiasi degustazione.

Luigi Odello

Istituto Internazionale Chocolier: i nuovi trainer

Per trasferire la conoscenza il sapere è essenziale, ma non sufficiente, perché occorre essere in grado di comunicare in modo efficace il proprio pensiero. A questo l’Istituto Internazionale Chocolier dedica da sempre grandi attenzioni formando trainer che poi operano nei più svariati contesti.

Ci fa quindi piacere presentare una squadra di nuovi trainer che sono stati licenziati con il corso tenuto alla Amedei di Pontedera.

Rilevare, misurare e narrare le emozioni

Il valore delle eccellenze è determinato dalle emozioni che sono in grado suscitare. Di questo c’è una coscienza a livello di marketing che, nel corso degli ultimi lustri, si è applicato nel conferire una solida reputazione ai territori e ai loro prodotti operando in termini di narrazione, confezioni e comunicazione, anche in carenza di metodi robusti per la rilevazione, la misurazione e la narrazione delle emozioni. L’International Academy of Sensory Analysis ha costituito un team di ricerca sull’argomento che ha lavorato per diciotto mesi innovando metodi per dare una base scientifica alla soddisfazione del bisogno. Nella tornata saranno presentati i risultati raggiunti e saranno raccolti gli elementi per progettare un futuro non più aleatorio in quanto basato sulle intuizioni, bensì fatto di ricerca scientifica.

Giovedì 13 luglio si terrà presso Vite Colte (CN) il workshop “Rilevare, misurare e narrare le emozioni”; di seguito una piccola anteprima di alcuni interventi della giornata.

EMOZIONI NEL BICCHIERE, IL RUOLO DELLE NEUROSCIENZE
Caratterizzare le emozioni durante una degustazione è da sempre uno degli obiettivi dei sensorialisti e non solo. L’utilizzo di solidi questionari, la cui compilazione è demandata agli assaggiatori, rappresenta uno dei capisaldi di tale caratterizzazione, ma porta con sé problemi metodologici intrinseci difficili da superare. In tal senso, vengono a supporto le neuroscienze che, grazie all’avanzamento tecnologico, forniscono strumenti e metodologie in grado di fornire dei riscontri oggettivi alle risposte fornite nei questionari di analisi sensoriale. L’impiego, infatti, di sensori indossabili per la misurazione di segnali fisiologici quali elettroencefalogramma (EEG), elettrocardiogramma (ECG), risposta elettrodermica (EDA), unito all’applicazione di tecniche di intelligenza artificiale sia nell’analisi del segnale che dei dati raccolti rappresenta un notevole avanzamento rispetto al passato e consente di inferire ciò che avviene, a livello fisiologico, nel nostro corpo, permettendo così di estrapolare informazioni utili ed indispensabili non mediate dalla nostra coscienza. È così che un training sensoriale su odoranti presenti nel vino può modificare il bilancio tra l’attivazione del sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico, facendoci comprendere che più familiarizziamo con un odore più lo riteniamo, anche fisiologicamente, “sicuro” e “piacevole”, o che dalle informazioni provenienti dagli stessi dispositivi possiamo capire le intenzioni e le preferenze dei consumatori, singoli o in gruppo, verso alcuni cibi, bevande, packaging o prodotti, con caratteristiche sensoriali diverse. Così le neuroscienze, assieme alle tecnologie consumer, rivestono ai nostri giorni, e lo faranno sempre di più nel corso del tempo, un ruolo sempre più importante anche nella valutazione del contenuto emozionale di un buon bicchiere di vino. Non ci resta che toccare con mano quanto ricerca e sviluppo tecnologico hanno riservato… per i nostri calici…

Lucia Billeci e Alessandro Tonacci
Cnr – Pisa

INDAGARE LE EMOZIONI DEI VINI: ASPETTI CHIMICI E SENSORIALI
Da circa 18 mesi abbiamo lanciato un’idea di progetto di ricerca multidisciplinare per verificare quale fosse un metodo efficace e robusto da un punto di vista scientifico ma al contempo facilmente realizzabile in vari contesti, per ottenere una misura oggettiva dell’impatto emotivo di diverse tipologie di vino sui consumatori addestrati e no. È stata una bella avventura caratterizzata da successi ma anche da vicoli ciechi che ci hanno costretto a cambiare approccio per arrivare alla meta.
Adesso, però, è arrivato il momento di tirare le somme possiamo trarre alcune conclusioni interessanti su quali aspetti del profilo organolettico di un vino e/o del contesto di consumo influenzino maggiormente la piacevolezza suscitata nel degustatore ma anche per stilare una sorta di manuale operativo che racchiuda potenzialità e limiti dei metodi esplorati fino ad ora per poter pensare di allargare lo sguardo su altri vini e, perché no, su altri prodotti altrettanto emozionanti.

Francesca Venturi
Università di Pisa

IL POTENZIALE EMOZIONALE: COME SI GESTISCE E COME SI AUMENTA
Quando parliamo di qualità in ambito enologico generalmente facciamo riferimento alla qualità intrinseca del prodotto che assaggiamo e, spesso, poniamo ancora poca attenzione alla qualità emozionale. Questo accade perché in parte il concetto di qualità emozionale non è facile da determinare a priori e in parte probabilmente perché il consumatore non è ancora adeguatamente “addestrato”, o per meglio dire educato, verso questi temi.
Basandosi su assunzioni e indicatori relativamente semplici se presi singolarmente, è possibile creare dei macro-indicatori aggregati più complessi con i quali è possibile stimare sia la qualità potenziale che quella emozionale di ogni appezzamento vitato aziendale e del relativo vino prodotto.

Roberto Zironi
Università di Udine

A cosa serve una company academy?

Una domanda decisamente impegnativa la cui risposta oggi comporta quasi sempre di entrare nell’ottica di costituirla. Perché per fare riconoscere il valore di produzioni pregiate occorre cominciare dalla formazione corale e continua del personale dell’azienda per passare poi agli intermediari e quindi ai clienti finali. Un percorso impegnativo che comunque, se fatto bene, garantisce non solo un ritorno economico nel breve termine, ma soprattutto l’aumento della reputazione e la fidelizzazione della clientela. Di questo, ma anche di come si costituisce un’academy e di come si fa funzionare, ha trattato Luigi Odello durante l’inaugurazione della Sweet Academy voluta dal Gruppo Grondona (Grondona, Bonifanti, Bocchia).

Se un buon degustatore di caffè vuoi apparire, un bel risucchio devi esperire

Forse tutto cominciò con una minestra troppo calda: una bella depressione toracica, la bocca semiaperta, il cucchiaio sul bordo del labbro inferiore e … un bel risucchio. Esecrabile secondo i manuali di bon ton, perfettamente normale per chi si vuole dare arie da perfetto degustatore di caffè. C’è persino chi l’ha giustificato scrivendo “Questo risucchio non è segno di maleducazione, ma soltanto il modo migliore per permettere all’ossigeno di sprigionare tutti gli aromi del caffè nebulizzandolo come uno spray.” Commettendo così un altro errore: l’ossigeno non libera gli aromi del caffè e non è il principale costituente dall’aria aspirata, il gas utilizzato per produrre il risucchio. Che il caffè sia troppo caldo? Forse sì, perché altrimenti un buon gargarismo sarebbe molto più efficace anche se parimenti antiestetico. Nel caso del risucchio l’aria viene attratta velocemente nella trachea e ben poca risale la via retronasale che le consente di raggiungere l’epitelio olfattivo, mentre con un bel gargarismo l’effetto fisico sarebbe lampante.
E con questo ci rendiamo conto che un’altra volta stiamo andando controcorrente, perché in migliaia ci diranno che i valutatori che classificano le partite di caffè nei paesi produttori lo fanno.

Allora, pur non potendoci appellare ad alcuna ricerca scientifica in merito (ma mi riprometto di farla), usando l’esperienza maturata con l’età, cerchiamo di capire il risucchio tornando ai primi anni della mia vita da enologo. Lo confesso, anche se il vino si assaggia con il bicchiere e non con un cucchiaio, ho risucchiato anch’io. All’epoca non era raro che in cantina arrivassero torchiati e soprachiari di feccia (non sto a spiegarvi che cosa sono questi ultimi, già dal nome dovrebbe risultare palese) e la valutazione sensoriale aveva come unica finalità di scoprire tipologia e intensità dei difetti per predisporre il trattamento più adeguato e l’aliquota dei tagli. Il tutto con la minore quantità di liquido possibile, ricercando percezioni particolari (uova marce, mercaptani, acidi volatili ecc.) apprese durante il corso di studi. In poche parole, l’assaggio era un mezzo diagnostico tendente a valutare determinati difetti. Non mi sarei – e non mi sono – mai sognato di fare un simile affronto a un vino per valutarne il pregio, anche perché una buona analisi sensoriale deve essere compiuta con le stesse modalità con le quali agirà il fruitore del bene. E per fortuna di persone che approcciano in tal modo un vino non ne ho mai viste, neppure se è da 300 euro a bottiglia. Come non ho mai visto alcuno apprezzare un caffè con il risucchio. Cadatdor e provador, per parlare dei tecnici che operano nelle aziende che trattano caffè verde fanno il risucchio perché, come gli enologi, dovendo classificare il prodotto e superando anche i trecento caffè al giorno, sanno cosa cercare e lo devono fare con pochissimo liquido, pena l’incolumità fisica.

Il risucchio lo fanno anche gli assaggiatori di olio. In questo caso è più plausibile. Pur in carenza di una sperimentazione scientifica possiamo immaginare che essendo la matrice costituita essenzialmente da grassi possa opporsi all’estrazione delle molecole aromatiche e che il risucchio possa consentire lo strippaggio di alcune che risultano indicative di determinate caratteristiche della materia prima e dei processi di produzione. Ma occorre conoscere le molecole e i messaggi di cui sono portatrici.

Luigi Odello

L’eccellenza parte dalla madre acida

Ai non addetti ai lavori il termine “madre acida” potrebbe evocare qualcosa di poco simpatico, mentre chi si interessa di lievitazione di prodotti da forno sa perfettamente che la preparazione e l’uso di questa, per quanto difficile e complicato, sia rilevante ai fini del risultato sensoriale e quindi del piacere che il prodotto è in grado di donare.

Scopriamo il perché dalla relazione tenuta dalla professoressa Francesca Venturi al workshop organizzato dall’Istituto Eccellenze Italiane Cerificate presso la Sweet Academy del Gruppo Grondona (Grondona, Bonifanti, Bocchia).

L’azienda, l’eccellenza, l’academy

Perché un’azienda fonda un accademia? Per trasferire conoscenza ai propri clienti, per approfondire una materia specifica nella quale eccelle e ampliare le competenze del proprio personale e del personale dei propri intermediari in modo da aggiungere il sapere al sapore, con l’immancabile conseguenza di aumentare il secondo e quindi il piacere dell’utenza. Un accademia, come ha spiegato Giuseppe Fabbri all’inaugurazione della Sweet Academy del Gruppo Grondona (aziende Grondona, Bonifanti, Bocchia), genera di fatto un circolo virtuoso in cui i clienti entrano di fatto nella comunità aziendale. In video il suo intervento, davvero convincente.

L’intervento sul nostro canale YouTube.

Viticoltura italiana: senza strategie si perde il valore di uno dei comparti economici più importanti per il Made in Italy

Riprendiamo volentieri il comunicato dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino.

Apertura dell’Anno Accademico per l’Accademia Italiana della Vite e del Vino, stamani (13 giugno 2023) all’Auditorium di Sant’Apollonia a Firenze. L’inaugurazione del 74esimo anno accademico dell’Ente fondato il 30 luglio 1949 a Siena (città dove ha avuto sede per moltissimi anni) con lo scopo di promuovere studi, ricerche e discussioni sui maggiori problemi concernenti la vite ed il vino, compreso l’insegnamento, è avvenuto sotto la presidenza del professor Rosario Di Lorenzo subentrato al professor Antonio Calò alla guida per 20 anni. Una sede simbolica, quella scelta, grazie alla volontà della Regione Toscana e in particolare della Vicepresidente Stefania Saccardi che ha sostenuto questo evento con l’obiettivo di riportare in Toscana la centralità di questa Istituzione nata proprio a Siena. «Siamo felice che l’Accademia sia in Toscana e che la storia e le competenze di cui è custode sono oggi particolarmente preziose per la Regione e per il Paese nel momento dei cambiamenti climatici e della presenza di problematiche fitosanitarie che possono mettere a rischio il patrimonio vitivinicolo – così la Vicepresidente della Regione Toscana, Stefania Saccardi – Come Regione siamo felici di collaborare con l’Accademia che riteniamo una eccellenza e un valore nel settore più importante per la nostra agricoltura»

Nel suo intervento il Presidente Rosario Di Lorenzo ha voluto prima di tutto ringraziare il Consiglio uscente e il suo Presidente, Prof. Antonio Calò. Poi Di Lorenzo ha tenuto a ricordare il ruolo dell’Accademia, come fece il Prof. Giovanni Dalmasso, primo presidente dell’AIVV nel suo discorso inaugurale del 1950: «Troppe volte si è lamentato che in Italia manchi un centro che costituisca, per così dire, il cervello della viticoltura e dell’enologia italiana… Tale centro vuole essere appunto l’Accademia della Vite e del Vino».

Tra gli impegni che il nuovo corso dell’Accademia vuole portare avanti nel proprio mandato, quello di «dotare l’Accademia di una sede identitaria» e «garantire per l’Accademia un’adeguata, e certa nel tempo, disponibilità finanziaria a sostegno delle attività poste in essere e che si intendono programmare». Tra i punti da affrontare anche quello di «assicurare piena e ampia operatività ai diversi gruppi di lavoro costituiti in seno all’AIVV» e «dotare l’Accademia di un efficace e moderno sistema di comunicazione», oltre a «incentivare il coinvolgimento e la partecipazione di giovani alla vita accademica» e «promuovere e sostenere attività di alta formazione». In sostanza Di Lorenzo ha sottolineato la necessità di «una visione più moderna dell’Accademia che sappia trasformare il modello attuale verso una forma organizzativa e operativa sempre più presente e diffusa sul territorio».

Il futuro del vino nell’era della sostenibilità, la prolusione del Presidente di OIV, il Prof. Luigi Moio. A parlare di futuro del vino è stato, nella sua prolusione, Luigi Moio, presidente dell’Oiv (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), professore ordinario di Enologia alla Facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Napoli, accademico. «L’attuale viticoltura italiana – ha detto – è destinata a perdere qualità e mercati se non mette a punto nuove strategie per un futuro di una nuova crescita ed affermazione a livello internazionale anche alla luce delle straordinarie ed esclusive potenzialità offerte dal comparto vitivinicolo del nostro bel Paese».

Secondo Moio «un primo aspetto da considerare è il cambiamento climatico. Ma fortunatamente su questo punto abbiamo un vantaggio naturale. I nostri vitigni storici sono quasi tutti tardivi, ossia caratterizzati da un ciclo vegetativo lungo, per cui non soffrono molto per un eventuale aumento della temperatura media annuale. Anzi. Alcuni di loro potrebbero addirittura avere dei vantaggi con un miglioramento notevole del potenziale enologico. E di conseguenza con l’ottenimento di vini maggiormente espressivi dei luoghi di origine. I nostri vini ottenuti dai vitigni italici hanno un vantaggio competitivo enorme».

Poi ha continuato il presidente di OIV, «un secondo punto è l’enorme crescita della sensibilità ambientale nella società. Problematiche come agricoltura verde, ossia un’agricoltura “pulita” e “pura” nei confronti dell’ambiente pedoclimatico, della pianta, degli addetti ai lavori e di conseguenza dei consumatori non sono più rinviabili. Con scelte lungo tutta la filiera vitivinicola, dall’uva alla bottiglia. Lo stesso discorso vale in cantina dove tematiche come “ecowinery” ed una enologia che è possibile definire “leggera” ossia una sorta di “milde-enology” sono concetti non più procrastinabili».

Infine, ha concluso Moio, «soprattutto in questa fase particolare che ci ha completamente sconvolti e confusi, è necessario dare ancora più forza all’enoturismo. Le cantine, sono dei potenziali porti attrattori, bisogna per questo continuare a metterle in rete in modo ordinato e organizzato allo scopo di creare tutte le condizioni per poter fare una buona accoglienza. Portare gli appassionati sui luoghi di produzione è fondamentale perché il vino non lo si comunica se non si ci si guarda negli occhi».

L’Accademia Italiana della Vite e del Vino tra i propri membri annovera docenti universitari, il meglio dei ricercatori italiani in campo vitivinicolo, i titolari delle maggiori imprese del settore e gran parte di coloro che, sotto diversi aspetti, contribuiscono alla esaltazione nell’ambito sociale, artistico e letterario delle denominazioni e dei vini di alta qualità.

L’Accademia è collegata al Ministero dei Beni Culturali ed al Ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e delle Foreste. L’attività si svolge in “tornate” a carattere itinerante con eventi organizzati insieme a visite conoscitive di specifiche realtà produttive. Questo ne consente la divulgazione e valorizzazione in Italia e all’estero. AIVV assegna il premio “Arturo Marescalchi” per celebrare la memoria del suo primo presidente onorario. Oltre al premio internazionale di vinicoltura “Giovanni Dalmasso” in memoria del suo presidente fondatore e il premio “Pier Giovanni Garoglio”, in ricordo dell’illustre studioso che è stato per diversi anni suo presidente.

L’interazione in assenza di fisicità

Siete mai stati in qualche metaverso? Noi vi proponiamo un giro insieme a Fabrizio Bellavista attraverso l’intervento al workshop dei Narratori del gusto tenuto a Torino, ospiti di Lavazza. Per prima cosa potrete ricredervi se pensate che i sensi non abbiano a che fare con la realtà virtuale, ma soprattutto potrete rendervi conto di quanto il relatore, pensatore raffinato, abbia umanizzato una realtà dalla quale molti di noi si sentono ancora avulsi. Mettendo in primo piano le emozioni, il suo cavallo di battaglia.

Il suo intervento sul nostro canale YouTube.