Migliaia di persone al mondo oggi visitano cantine e trovano qualcuno che le guida nella visita e narra loro la storia dell’azienda, del vino e del territorio. A Porto, patria del celeberrimo vino portato dagli inglesi alla ribalta in tre secoli di storia (anno più anno meno), il turismo enologico è diventato una vera attività lucrativa e una quindicina di cantine, con sede a Villanova de Gaia, sono organizzatissime per portare il turista alla scoperta del prodotto.
Ne ho sperimentate alcune e una ve la voglio raccontare invitandovi a scoprire nel testo i dieci errori compiuti dal narratore che ha guidato il piccolo gruppo di cui facevo parte e da chi ha progettato e realizzato il tour. Da premettere che a Villanova de Gaia le cantine si sono organizzate in un’associazione che pubblica con dovizia di particolari quanto l’azienda offre da vedere e da gustare, quindi chi si accinge al percorso ha delle attese precise. Ma veniamo al nostro giro: eviteremo solo il nome, perché la citazione non sarebbe carina.
Bella la cantina, austera e imponente, di quelle che ti fanno precipitare nei secoli passati facendoti immergere, a luce soffusa, tra pietra e tini. Ottima l’accoglienza, che mi ha dato la netta impressione di essere atteso e non di fare parte della massa turistica traboccante dai pullman dei viaggi organizzati. Il nostro Cicerone, un uomo di portamento elegante sui trentacinque anni, si presenta in giacca e cravatta rivelando immediatamente gli effetti combinati di un raffreddore e di una notte in cui ha fatto le ore piccole. Ogni tanto non controlla il volume della voce che si affievolisce fino a perdersi nei suoi pensieri, evidenziando quanto possa essere pesante raccontare decine di volte al giorno la stessa storia. Ci avvisa che la visita durerà venti minuti e poi ci sarà la degustazione. I primi dieci li passiamo in una saletta dove un video ci racconta la storia del Porto e dell’azienda con abbondante uso di superlativi e di frasi da “effetti speciali”. Ci immergiamo quindi tra i tini e le botti che emanano l’aroma inconfondibile del vino che contengono. Con gesti che fanno ormai parte di un’abitudine consolidata la guida avanza di qualche passo, poi si ferma, sciorina un discorsetto, fa una battuta di repertorio (alla quale nessuno ride). Riesce così a fare passare i rimanenti dieci minuti in poco più di un centinaio di metri. Tale è la lunghezza del circuito della visita. Sul depliant era segnalato un museo: qualcosa c’è, ma la guida ci passa davanti senza mostrarcelo. Giungiamo quindi in una bella sala con volte d’epoca in cui ci accolgono tavoli neri sui quali sono disposti set di assaggio di due campioni, uno di bianco e uno di rosso. La guida ci dice che uno è Porto bianco e l’altro è Porto rosso (evidentemente pensa che sia la cosa più difficile da capire o la più importante da sapere) poi prende graziosamente commiato dal gruppo e ci lascia … con il naso nei bicchieri.
Perché non é carino fare il nome della cantina ?? Forse non é carino aiutare una persona o azienda a migliorarsi??
Credo sia un dovere, quando si fa una critica ud osservazione, per di piú cosí ben illustrata, farne il nome.
E´come fare una recensione e se il libro é una schifezza, non publicare il titolo…..
Cordialmente,
Alessandro
Troppo semplice…
1. l’abbigliamento della guida è troppo formale e crea un senso di distanza dal gruppo
2. il tono di voce della guida non è coinvolgente né costante
3. la “noia” della guida nel raccontare sempre la stessa storia (quindi mancanza di entusiasmo) non trasmette sensazioni positive al gruppo
4. video troppo lungo (10 minuti) per essere comunicativamente corretto (sarebbe stato meglio far raccontare la storia da qualcuno dell’azienda con delle immagini in retrosfondo)
5. mai fare un video che “si autoincensa”
6. la battuta: se nessuno ha riso è una battuta ormai teatrale. manca di naturalezza questa guida
7. non ho letto di nessun coinvolgimento dei visitatori: erroraccio. la visita in cantina è essa stessa un evento sensoriale ed emozionale
8. la guida non presenta i vini in degustazione
9. la guida non accompagna il gruppo nella degustazione dei vini (poco rispetto verso il gruppo e la preprazione individuale, potrebbe esserci un tecnico degustatore, ma anche un semplice appassionato che vorrebbe indicazioni…)
10. il gruppo non va abbandonato, ma seguito fino alla sua partenza
Mah! Anch’io sono stata in Portogallo e ho visitato cantine di varie dimensioni, dal colosso al piccolo vignaiolo… diciamo che in genere, ciò che più mi colpisce nella visita di una cantina, ovunque vada, Italia compresa, è la passione personale della guida-cicerone.
Quando c’è, riesce a farti credere di raccontarti tutta la storia per la prima volta in vita sua, tanto è l’entusiasmo che trasmette.
Quando non c’è, è una noia mortale che si riflette sull’intera esperienza.
Ci sarebbe anche una terza via, ma è ancora più rara: un consumatissimo mestiere, quasi da attore/attrice, che nonostante tutto – ore piccole e strapazzi fisici compresi – ti da’ l’illusione di voler condividere con te un’avventura sensoriale unica.
Secondo me, il primo fatale errore – che, per esperienza personale, posso dire è molto diffuso – è non aver “tarato” i 20 minuti di visita sul gruppo di visitatori: chi erano? semplici wine lovers, dopolavoristi pensionati, aspiranti Master of Wine in visita di studio, enologi/produttori, giornalisti del settore turismo…? un misto di tutto? se fossi una guida, mi informerei prima sul gruppo che devo guidare, in modo da adattare in più possibile il racconto alle loro eventuali esigenze…ed evitare figure più o meno imbarazzanti/ridicole
dal suo racconto evinco che il giovanotto con le occhiaie… non sia un esperto di comunicazione, ma nemmeno un appassionato di Porto… per cui non sto ad elencarle i dieci errori che balzano subito all’occhio, dall’abbigliamento all’abbandono degli ospiti in sala degustazione…
io sono un sommelier AIS, ma soprattutto sono un comunicatore, per cui ho sofferto con lei leggendo il suo articolo
cordialità
Buonasera,
purtroppo non ho molto tempo per rispondere alla gradita piccola provocazione (per fortuna il lavoro nel settore turistico non risente particolarmente della crisi); ci ritroviamo a discutere attorno all’antico enigma, per cui esiste una fondamentale differenza tra “una guida” e “una brava guida”. I “saperi” sono le fondamenta di una professione, ma il “saper fare” acquisito con passione, determinazione, studio continuo, indole ed esperienza, determina il successo.
In quanto guide dal 1992, posso sinteticamente ritrovare la mancanza di ogni tecnica di comunicazione e di marketing operativo, nonché una sorta di empatia umana col gruppo di visitatori. Ovvio e banale ritrovare le mancanze della “inesistente” degustazione, ben lontana dall’analisi sensoriale coinvolgente ed interattiva dei Narratori….di quelli “veri” naturalmente!
Cordialmente,
N.
Sicuramennte la guida era sotto i postumi di una sbronza capitale fatta la serata prima, avrebbe sicuramente fatto meglio a farsi sostituire da un suo collega, o sistemarsi decorosamente prima di afrontare la visita, certo che e dificile giudicare una persona non essendo presenti, e solo dalla lettura del comento, bisogna vedere quante visite il cicerone deve afrontare nell’arco della giornata, comunque fatto sta, che sicuramente il comportamento dell’adetto non e stato professionale. Tornando ai 10 errori, sicuramente sono molti di piu, se prendiamo in considerazione quanto sopra scritto, a partire da come si e presentato il cicerone, in abbigliamento un po trasandato, la voce che si affievoliva per non farsi capire, o perche anche lui cometteva degli errori nel presentare e quindi abassava il tono di voce per non far capire volutamente, la battuta poco ortodossa, il gesticolare consueto, anche dopo la proiezzione del video, sarebbe stato opportuno domandare ai presenti se avessero capito, o se qualcuno avesse bisogno di ulteriori delucidazioni, un altra cosa poco bella e stata di non far vedere il museo, visto che era descritto nei folder illustrativi o previsto nella visita, una cosa che poi non approvo e sicuramente un tavolo nero dove sono stati appoggiati i bicchieri con i prodotti, (sicuramente l’arredo fa parte della vecchia struttura) ma ci si puo adegure ai tempi, vista l’importanza della presentazione dei prodotti. Quindi poca trasparenza , e sicuramente il fatto di mettere due prodotti ben diversi sul tavolo, dicendo, questo e un bianco e questo e un rosso, senza spiegare la provenienza dei vigneti, di come vengono lavorati, di quanto tempo devono maturare nelle apposite botti, visto che si parla di un vino porto, e non di un qualsiasi vino da tavola. Importante sarebbe stato sapere di quale tipo di legno sono state fatte le botti, la provenienza, la tostatura, e sapere le funzioni e l’importanza che hanno queste botti, per la maturazione del prodotto. Non parliamo dei sapori, aromi, tonalitá di colore che il legno da al prodotto. Ci sarebbe voluto un commento visivo e olfativo del prodotto, per capire qualcosina in piu. Alla fine della visita, ci sara stato lo spaccio o un punto vendita, quindi la guida nel momento della degustazione da parte dei partecipanti doveva provocare un coinvolgimento collettivo, facendo riferimento a cosa ognuno provava nel degustare i prodotti, visto che erano solo due. Una cosa semplice, ma che sicuramente ad ogni singolo visitatore sarebbe piaciuto perche sentito coinvolto, e alla fine contento di quanto vissuto andava allo spaccio o punto vendita ad aquistare una bottiglia. Per concludere, sicuramente questa azienda non ha nessun interesse a vendere una bottiglia in piú, forse non ne hanno bisogno, ma se il tutto venisse organizzato meglio i fatturati ne gioverebbero sicuramente, la vendita a corpo e molto importante e anche dove si guadagna di piú, poche spese di gestione e soldi immediati. Spero di avere dato il mio contributo un saluto cordiale a tutti Claudio Tomasi
Grazie a tutti voi per aver raccolto la mia piccola provocazione. Grazie per avere tutti esternato l’importanza del narratore che supera di gran lunga quella dell’oggetto narrato.
E’ vero: certi piccoli vignaioli sanno commuovere, si rimarrebbe con loro per ore con un bicchiere in mano per sentirli senza neppure chiedersi se quello che dicono è corretto oppure no. Per contro la mancanza di “un’anima” nella narrazione rende squallido anche la più imponente realtà enologica.
In questo caso gli errori erano facili, ma quante volte una visita ci lascia l’amaro in bocca e non sappiamo darci una spiegazione logica?
Nell’enoturismo, vorrei dire nel turismo che porta alla scoperta del tradizionale-tipico, c’è biosogno di professionalità da un canto e di innovazione dall’altra. Speriamo di ottenere entrambe con i Narratori del Gusto: questi sono i loro obiettivi.
Ultimamente ho avuto in aula un trainer balbuziente. Mi è venuto freddo, ovviamemnte per lui. Ebbene, nonostante il suo difetto si è rivelato uno dei migliori del corso, tanta è la passione che ci mette e la capacità di generare una simpatia immediata e una relazione fulminea con le persone.
Solo per dire che tutti possono riuscire a fare bene, se lo vogliono.
Perché non ho citato il nome dell’azienda? Perché intanto io sono stato un giudice monocratico, magari gli altri del gruppo non hanno vissuto la visita in modo così negativo. Sarebbe bene, per esempio, che nelle aziende si facessero compilare questionari di gradimento: dal gruppo e solo da esso si può ottenere un valore affidabile, in qualche modo oggettivo.
E poi perché non mi piace mettere in croce un’azienda per un evento che può essere casuale.
Infine perché preferisco parlare delle cose belle, anche se interessano meno.