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La grappa perde uno dei suoi grandi: Giuseppe Bonollo

Giuseppe Bonollo, quello di Mestrino (PD), da ieri non è più con noi. Lascia la più grande distilleria di grappa, un nipote, Elvio, alla presidenza dell’Istituto Nazionale Grappa e un vuoto che sarà impossibile colmare, almeno per quelli come me che l’hanno avuto vicino per quarant’anni.

Lo conobbi infatti nel luglio del 1973 e mi colpì il fatto che non si desse pace sul come avere più padronanza del processo produttivo nella fabbricazione dell’acquavite di vinaccia, come già avveniva per il vino. Il nostro primo rapporto fu proprio di tipo tecnologico, per sperimentare lieviti selezionati e regolatori della fermentazione. Diventammo amici e mi fu sempre vicino: nell’avvio degli assaggiatori di grappa, nella rifondazione dell’Istituto Grappa Veneta prima e nella fondazione dell’Istituto Nazionale Grappa poi.

Suo fratello Bruno diceva sempre che era troppo buono. In realtà erano buoni uguali, ma Giuseppe si meritava il rimprovero perché effettivamente evitava ogni conflittualità, a costo di rimetterci. Eppure era un imprenditore di successo: nel corso degli anni, la Bonollo Umberto registrava una crescita continua, acquisendo anche altre aziende storiche come la Modin e la Dalla Vecchia.

Annoverabile nel ristrettissimo numero dei grappaioli non individualisti, Giuseppe Bonollo faceva la sua strada senza curarsi più di tanto delle strategie degli altri. Dove stava il suo segreto? Sicuramente nella capacità di osservare il mondo, ma soprattutto nella sua capacità di instaurare relazioni umane profonde e stabili. Non lesinava mai un piacere, non ne chiedeva mai il riscatto, quindi tutti erano pronti a confidarsi con lui e, all’occasione, a ricambiare i favori ricevuti.

Questa è forse la più bella eredità che lascia al mondo della grappa e a tutti noi: una filosofia di vita, umana e imprenditoriale, quanto mai importante per il momento che stiamo vivendo.

L’omaggio più bello che posso rendergli sarà di andare a scovare nella mia collezione di grappe quella di Friularo del 1972 che fece per l’allora ministro dell’agricoltura Toni Bisaglia (e che costituisce la prima grappa di monovitigno dell’era moderna), aprirla e sorseggiarne il contenuto rivolgendogli un ultimo pensiero di gratitudine.

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