“Robert Parker apre al valore del terroir.
Abituati all’estrema quantità di vini regionali e locali disponibili, gli italiani, peccando forse un po’ di etnocentrismo, faticano a capire la difficoltà con cui i consumatori degli altri Paesi, specie non europei, si approcciano al panorama viticolo italiano. Essenziale, a questo riguardo, il lavoro di aiuto nella comprensione della differenziazione dei terroir di professionisti e riviste del settore, tra cui spicca l’americana Wine Advocate (WA), pubblicazione fondata da Robert Parker, probabilmente il critico di vini più influente nel mondo.”
Così scrive Vinit. Che i critici siano importanti e che tra questi Robert Parker abbia un ruolo di primo piano non v’è dubbio, ma sul discorso dell’enocentrismo degli italiani siamo un po’ meno convinti. Enologi di vaglia dotati di notevole empatia e di solide doti di creatività, gli italiani hanno ammiccato all’enologia “internazionale” travestendo i propri vini per farli piacere di più secondo mode che non sono nostre. Baroli sfigurati dal legno, piccoli vini innovati con tecnologie capaci di portarli a essere generosi e succosi, bollicine in cui vitigni e territorio sono offuscati da sentori esogeni.
Stiamo parlando al passato, ma la situazione per molti non è cambiata. Se è vero, come dice Gualtiero Marchesi, che il nostro non è il paese della ricchezza, ma dell’eleganza, si rende necessario un cambio di rotta per valorizzare quei vini che vivono delle loro virtù territoriali. Per fare questo occorrono tre cose: la convinzione, il coraggio e nuove forme di narrazione. In poche parole occorre produrre vini di grande personalità in cui si riflette il territorio (quindi non Australia, Sud Africa o California) e innovare il modo di raccontarli per farli capire. Troveremo sicuramente estimatori che sapranno convincere altri enofili su qualcosa che è unico e irripetibile, perché arriva dall’Italia e solo dalla nostra terra può arrivare.