
Mai aforisma fu così congeniale per giustificare il produttore troppo pigro per cercare di dare più piacere al cliente e quello supponente quando riceve una critica o il consumatore disattento che non si decide ad avere coscienza delle proprie percezioni. Ma è davvero così o esiste il buono oggettivo?
In analisi sensoriale la transizione per passare a modelli innovativi di valutazione di prodotti e servizi passa indiscutibilmente nell’accettazione di una nuova filosofia: esiste il buono oggettivo e il consumatore è l’unico giudice in grado di determinarlo. Già in passato abbiamo sperimentato con successo la possibilità di avere, da giudici non togati, valutazioni di una certa complessità con alta attendibilità statistica e la possibilità di correlazioni significative tra analisi condotte da panel di laboratorio con test sui consumatori.
Questo si ottiene quando esistono tre condizioni: il consumatore è scelto casualmente e interrogato nel luogo di consumo che gli è proprio senza fare uso di termini gergali, e il giudice sensoriale è privo di pregiudizi, vale a dire che non è soggetto a deviazioni dettate dalla moda come, non di rado, succede con gli esperti.
La questione dell’oggettività del bello e del buono ha attraversato tutta la storia della filosofia, coinvolgendo alcuni dei pensatori più influenti di ogni epoca. Nonostante le differenze teoriche, molti filosofi hanno sostenuto che esistono criteri oggettivi per riconoscere il valore estetico e morale.
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