Sensory News

Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Bambini e aberrazione della semantica sensoriale

di Stefania Pompele

Tra le molte, entusiasmanti esperienze che l’analisi sensoriale mi ha permesso di fare, ve n’è una che ricordo con particolare piacere. Sarà forse perché nella dimensione fiabesca e giocosa si scordano gli affanni del nostro tempo. Ma tant’è, tornare bambini ogni tanto è divertente.

Fiabe e giochi sono stati ottimi alleati per raccontare il mondo dei sensi in una scuola materna di matrice Montessoriana. E se pensate che la psicofisiologia possa essere  difficile quanto noiosa per un bimbo di 4 anni, avreste dovuto vederli sperimentare quanto appreso attraverso il gioco. L’olfatto in particolare è riuscito a rapirli e incuriosirli. Osservarli seduti e silenziosi mentre attendono che il compagno passi loro chissà quale “pozione magica”, la dice lunga sul fascino che il mondo odoroso esercita da sempre sul nostro cervello.  Sintomatico è stato anche il racconto del loro percepito: le frutte più comuni (mela, pera, fragola, banana, ecc) odoravano di “caramella”.

Verrebbe da chiedersi quale esperienza avessero di queste frutte questi bambini (o quanto gli fossero famigliari le caramelle). Gettonatissimi anche nocciola, vaniglia e cioccolato, anche se raramente questi sentori sono stati riconosciuti tal quali, ma più spesso associati a prodotti che li contengono come ingredienti. Curioso notare come quasi nessuna delle descrizioni fornite dai bambini si riferisse a prodotti cucinati in casa. Nessuna torta “della nonna”, strudel “della mamma”o muffin “della zia”.

Le riflessioni? Le lascio a voi. Quest’esperienza è lo scatto di una polaroid, non certo un documentario. C’è da scommettere (e augurarsi) non sia affatto rappresentativa della realtà. Quel che è certo, è che il gioco può essere un efficace strumento educativo e di monitoraggio.

L’irresistibile curiosità olfattiva

Da quando – per la precisione da quasi una decina d’anni – ho cominciato a fare corsi in Giappone non mi era mai capitato di trovare un allievo fuori posto al termine della pausa. Quest’anno ho dovuto fare più di un richiamo. Il motivo? Sensory Box Explorer, con le sue 20 fragranze ottenute da una ricerca in cui sono state fatte 19.840 osservazioni statistiche per mettere a punto gli aromi più rappresentativi del nostro vivere quotidiano. Un gioco irresistibile: si apre un contenitore, lo si porta al naso e si va a cercare in un elenco a cosa corrisponde. I casi sono due: si identifica con facilità, quindi si è gratificati e dunque si vuole proseguire con gli altri 19, o non si riesce a collocare sulla mappa e di conseguenza si prova con un altro. Questo fino a quando non si ha terminato la serie.

Se per gli allievi giapponesi è stato motivo di indisciplina, per i bambini di una V elementare di Roma è stata una festa (vedasi Sensory News del 7 ottobre, Analisi sensoriale per innovare il cibo) in cui hanno dimostrato che l’assenza di censure contribuisce in modo determinante all’abilità olfattiva. Sugli aromi i ragazzini si sono letteralmente avventati, al contrario di un noto imprenditore, di cui non facciamo il nome, che dopo aver ostentato indifferenza si è lanciato nell’identificazione delle essenze abbandonando gli interlocutori fino al termine dell’esperienza.

Altrettanto curioso è stato l’atteggiamento dei vip che hanno partecipato venerdì scorso a una degustazione organizzata dai Narratori del gusto di vini storici (sette in tutto, il più vecchio uno Sherry di 110 anni) condotta dal celebre sommelier Luca Castelletti nell’ipertecnologico spazio Theca di piazza Castello a Milano. In questo caso, non volutamente, Sensory Box Explorer è stato abbandonato sul banco della reception. Molti ospiti si avvicinavano con circospezione, esaminavano con consumato distacco uno degli standard e poi lo aprivano. Non appena lo portavano al naso scattava in loro il desiderio di proseguire con gli altri, un meccanismo compulsivo che ha colpito indistintamente personaggi della finanza ed editori, stilisti e imprenditori.

La ricerca dell’eleganza, la tentazione dell’apparire

Ricordiamo ancora quando Gualtiero Marchesi disse che il nostro non è il paese della ricchezza, bensì dell’eleganza. Si rivolgeva alla nostra cucina, ovviamente, ma la frase ci è tornata in mente a Bergamo nel vedere 81 giudici di ben 27 nazioni schierati e silenti in attesa di valutare i vini in competizione per la IX edizione del Concorso Emozioni dal Mondo (scarica l’elenco dei vincitori). Per quanto i metodi possano essere fallosi e la mente umana complessa, nei loro volti si leggeva compostezza, amore per il prodotto, rispetto per chi l’aveva fatto. La bella sala della tenuta Medolago Albani rendeva solenne il momento, in perfetta sintonia con i giudici compresi nella loro parte. Cento persone in una sala (perché oltre ai giudici c’era il personale di servizio alle commissioni) che si muovevano all’unisono: bottiglie che arrivavano, bicchieri che si riempivano, commissari che degustavano, schede che si avviavano all’elaborazione. Ecco: l’eleganza generata dalla cura dei dettagli, un rito eseguito in onore di chi, produttore o consumatore, il vino lo ama.

La stessa frase del nostro Maestro della cucina ci è tornata in mente alla Fiera di Milano quando abbiamo visto le foto di 4.000 litri di buon latte della Centrale di Brescia immolati per fare quello che si è autodefinito il cappuccino più grande del mondo. Una massa schiumosa deforme di latte montato miscelato a caffè  con la pretesa di essere considerata la più grande esecuzione di una delle nostre bevande più amate nel mondo. Se da una parte contestiamo il fatto che fosse un cappuccino (per definizione dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano: 100 millilitri di latte montato a volume di 125 millitri mediante vapore e aggiunto a 25 millilitri di espresso), dall’altra non possiamo evitare una nota di biasimo pensando a un alimento prezioso sprecato per un gesto meramente finalizzato all’apparire.

Concorso Emozioni dal Mondo 2013

Cappuccino più grande del mondo, Host 2013

La settimana sensoriale

È difficile trovare una settimana in cui si concentrino così tanti eventi sensoriali come quella in cui siamo entrati. Oggi a Brescia inizia infatti il percorso per Espresso Italiano Trainer dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè in lingua inglese a cui parteciperanno export manager e dirigenti di importanti aziende straniere. Persino una delle più grandi catene di caffetterie a livello mondiale ha voluto essere presente all’evento che prepara gli ambasciatori del caffè.

Venerdì sarà la volta di Emozioni dal Mondo, un concorso enologico internazionale che si svolge a Bergamo sotto l’egida dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino e rappresenta una vera chicca nell’ambito delle competizioni del vino. Non solo partecipano vini di tutto il mondo, ma anche assaggiatori di grido che giungono dai cinque continenti facendo dell’evento un momento di riflessione sulle tendenze della qualità percepita.

Ma non finisce qui: venerdì alla fiera di Milano inizia Host con l’annesso Salone Internazionale del Caffè in cui Iiac sarà presente insieme all’Istituto Nazionale Espresso Italiano nell’affollata area Fipe con un banco di assaggio dove saranno poste in degustazione trenta miscele certificate e dove si svolgerà il gioco dell’Italia dell’espresso. Un po’ in tutti gli stand si potranno degustare miscele e monorigini, ma due iniziative meritano di essere sottolineate. Pellini riceverà i visitatori con un gioco degli aromi e organizza, con l’intervento di un sensorialista, ben cinque seminari sull’assaggio del caffè.

Milani invece, azienda aderente ai Narratori del gusto, proporrà un’iniziativa inedita: una colazione per i giornalisti che ha un menù diverso a seconda dell’origine che il comunicatore vorrà degustare. Forte di una esperienza che vede l’azienda primeggiare anche nel settore dei caffè puri (cioè non in miscela), attraverso l’analisi sensoriale ha individuato le note caratterizzanti di ognuno e quindi il menù è stato costruito con portate che rafforzano quanto presente nel caffè.

Analisi sensoriale per innovare il cibo

Con questo titolo si è aperta a Roma la fiera dell’innovazione Maker Faire, il più importante evento del genere a livello europeo. E l’inaugurazione del laboratorio sensoriale gestito dai Narratori del gusto è toccata ai bambini di una quinta elementare che, alle prese con un Sensory Box Explorer, su una collezione di 20 aromi, hanno battuto un plurilaureato in tecnologie e chimica degli alimenti. Non vi diciamo il nome solo perché c’è rimasto abbastanza male di suo. Non meno meravigliata è stata Francesca Germanò, direttrice marketing del celebre Gentilini, secolare produttore nella capitale di biscotti di alto profilo: i bambini sono persino riusciti a scoprire la vaniglia in un complesso biscotto al cacao.

Sotto l’attenta regia di Carlo Hausmann e Valentina Canali, rispettivamente direttore e vicedirettore dell’Azienda Romana Mercati, il laboratorio è poi proseguito, sempre sui prodotti da forno, con una classe di studenti delle superiori, per poi passare, nei giorni successivi, alla presentazione di Rex Romae, una collezione di vini nata da un progetto di innovazione della Camera di Commercio di Roma e sviluppato attraverso la sua azienda speciale Arm, a quattordici alti esponenti della sommellerie cinese. La conclusione è stata lasciata alle tecniche di caratterizzazione dei vini tradizionali, sempre eseguita con metodi innovativi che non solo consentono una fotografia più definita, ma anche di individuare le migliori modalità di narrazione.

Tre gli aspetti da cogliere nella partecipazione dell’analisi sensoriale a questo evento straordinario che ha coinvolto un pubblico enorme: in primo luogo la consacrazione della disciplina nell’alveo dell’innovazione, poi il fatto di averla diretta ai consumatori di domani, quindi di averla utilizzata per i nuovi consumatori di oggi.

Ai giovani piace piccante

Settembre è il mese giusto per parlare di peperoncino, pepe e piccantezza. Questo non solo perché con la fine della calura estiva possiamo sentire il bisogno di scaldare perlomeno i nostri piatti, ma anche perché i frutti, raccolti durante l’estate, danno il meglio di sé anche durante la stagione autunnale.

La piccantezza è data dall’azione della capsaicina (o di altre molecole) sui chemorecettori del calore presenti sulla pelle e soprattutto nelle mucose. Ma come viene misurata la piccantezza? Esistono sicuramente tecniche cromatografiche, ma è ancora in uso il metodo tradizionale, detto Scoville Organoleptic Test, che richiede l’azione di circa cinque assaggiatori in grado di indicare la diluzione dell’estratto necessaria per non percepire più la sensazione di bruciore. Non è un metodo oggettivo, in quanto la sensibilità del singolo può variare di un grado anche considerevole, ma efficace per essere spiegato e per “giocarci” con chi di chimica non se ne intende.

Se volessimo ipoteticamente sviluppare un prodotto alimentare piccante, di cosa altro dovremmo tener conto, per il suo successo? Sicuramente sarebbe necessario valutare i gusti del nostro target. È stato infatti scientificamente provato (ma ce n’eravamo già accorti!) che alcune popolazioni sono più tolleranti verso il piccante. Questo deriva da secoli di adattamento, è scritto nei nostri geni e si somma all’influenza della cultura nelle nostre scelte alimentari.

E questa sensibilità, si modifica nel tempo? Dando uno sguardo al mercato Kalsec, un’azienda americana produttrice di spezie, ha sviluppato un indice che tiene conto dell’uso di diversi tipi di peperoncino e prodotti speziati evidenziando per l’Europa e gli Stati Uniti un sensibile incremento di utilizzo negli ultimi anni: ai giovani piace e piacerà sempre di più consumare prodotti speziati e piccanti.

Su quest’onda potrebbe essere il momento giusto per dare un tocco piccante alle nostre preparazioni. Resta da capire se si tratti di una tendenza (come suggerito da Kalsec, che nel vendere aromi ha i suoi bei interessi), oppure semplicemente di una moda, con i suoi alti e i suoi bassi.

Emozioni dal mondo: l’evoluzione dei concorsi enologici è possibile

Tra i nostri dilemmi di sempre: un vino premiato dagli esperti che costituiscono le giurie di un concorso otterrebbe lo stesso premio se fosse valutato dai consumatori oppure no?

I concorsi dovrebbero proporre dei modelli di qualità ai consumatori attraverso esperti che sanno valutare il livello della materia prima e la maestria di esecuzione. Non necessariamente questo porta però alla produzione di un vino piacevole. Diverse nostre ricerche – le prima risalenti addirittura agli anni Novanta – hanno dimostrato che esperti e consumatori hanno idee diverse per quanto riguarda il valore edonico di una bevanda.

Emozioni dal mondo, il concorso enologico internazionale che si tiene a Bergamo da nove anni ed è in programma il 18 e 19 ottobre 2013, quest’anno introduce commissioni di consumatori e il relativo premio. I 21 giudici sono stati selezionati nell’ambito di Vinitaly con la collaborazione di Radio Number One che ha lanciato l’iniziativa e siederanno alla pari di quelli togati nelle commissioni. Le loro valutazioni saranno però elaborate a parte e daranno origine a una classifica parallela.

Inutile dire che l’iniziativa ha una valenza scientifica: da essa si potranno ricavare riflessioni importanti sulle divergenze con i tecnici, cogliere indicazioni per sapere quale vino piace di più a chi lo beve per predisporre piani di innovazione tecnologica, verificare modalità per nuovi percorsi di avvicinamento dei consumatori al vino.

Così Emozioni dal mondo, che già si distingueva per il numero dei giudici (in genere oltre sessanta per poco più di 200 campioni), la forte internazionalità delle commissioni e la notevole componente di giurati operanti nel mondo della comunicazione (tanto da poter realizzare anche un premio della stampa) aggiunge ai suoi plus questa nuova iniziativa, superando per inventiva e garanzie verso i produttori ogni altro concorso internazionale. Di chi è il merito? Come ogni vittoria ha molti padri, ma sicuramente tra questi va annoverato il direttore del concorso Sergio Cantoni, un enologo, che fu tra i primi ad applicare l’analisi sensoriale scientifica ai vini.

Per quanti desiderano conoscerlo meglio e iscrivere campioni: www.emozionidalmondo.it

Arrivano i brain drink: ma è vera innovazione?

Promettono di darti una marcia in più: mantenimento della concentrazione mentale e della capacità di reazione, riduzione della stanchezza e della fatica, aumento del desiderio sessuale. Ma ci sono anche bevande rilassanti, quelle che, attraverso camomilla e melissa, ti invitano a ritmi più lenti per godere maggiormente della vita. E non mancano gli energy drink che si sono semplicemente accorti che la sensorialità ha il suo peso e si sono vestiti a nuovo con aromi della cultura italiana, mantenendo però salda la promessa di una sferzata di energia nel momento del bisogno.

In lattina o in polvere, da consumare fredde o calde, a ben vedere potremmo disegnare la nostra vita quotidiana intorno a queste bevande: mi sveglio al mattino e, anziché un buon caffè, mi faccio un cocktail di caffeina e taurina, poi vado al lavoro e mi sostengo con sorsi di estratti di piante amazzoniche e alla sera mi rilasso con un soft drink alla melissa, giusto prima di volare all’appuntamento galante imperdibile in cui concluderò il pasto con una tazza di Muira Puama, che farò bere ovviamente anche a lei, per essere certo di garantirmi una bella nottata. Tanto poi il giorno dopo potrò fare ricorso agli energy e ai brain drink per mantenere alte le mie performance anche sul lavoro.

Questo comparto di bevande, tra le tante promesse, raramente si è sbilanciato sul versante sensoriale. E in effetti nei test fatti tempo fa erano uscite maluccio. Appena ne avremo l’occasione le riesamineremo e poi vi faremo sapere, con il solo obiettivo di soddisfare una vostra piccola curiosità e non certo di indicarvi la più buona.

Grappa a -5? Il gusto questa volta non ha colpa

Mi scrive il mio amico Armando Colliva, segretario generale dell’Istituto Nazionale Grappa: “mi dici la tua impressione su queste statistiche che ho trovato nel sito Federvini?

Esportazioni di acquaviti, liquori e altre bevande alcoliche:

– Grappa: 2011 ha (ettanidro, unità di misura per grappa e distillati) 32.707, 2012 ha 37.500 (bottiglie 0,7 a 40% vol  circa 13,5 milioni)

 Dimensioni del mercato italiano 2012 (in mio di litri):

– Grappa: 17,1 (in bottiglie da 0,7 sarebbero circa 18 milioni e mezzo) (17,1  litri a 40%, ha 47.900)

 Tendenza del mercato italiano in volume (anno 2012 vs 2011):

– Grappa: – 4,9%

 Canalizzazione del mercato italiano in volume (anno 2012):

– fuori casa: 49,1%,  in casa 50,9%

Mie riflessioni personali: se la  produzione 2012 è stimata in 85.000 ha  (85.000 – 37.500 = 47.500) è possibile che le esportazioni rappresentino il 44%? Non è tanto, considerato che fino a qualche anno fa rappresentavano circa il 12%?”

Ovviamente non ho saputo dargli risposta, non ho fonti con le quali confrontare questi dati, ma concordo con lui che 13,5 milioni di bottiglie di grappa in esportazione sembrano tante, pur mettendoci tutto lo sfuso che comunque rimane un problema irrisolto, nonostante gli sforzi dell’Istituto Nazionale Grappa e del suo presidente Elvio Bonollo in prima persona che stanno facendo di tutto affinché l’Unione Europea ci conceda l’imbottigliamento in zona.

Sarei felice che fosse così tanta la nostra acquavite di bandiera a varcare le frontiere portando il messaggio del bere forte di stile italiano, ma non posso rimanere indifferente a quel -5% del mercato interno. Trent’anni fa potevo essere d’accordo con chi poneva l’accento sul prodotto di cattiva qualità che disaffezionava il consumatore, ma oggi trovare un grappa con difetti è davvero raro, tanto da fare apparire vetusti i libri che portano ancora i caratteri che la rendevano poco piacevole.

Il motivo del calo non sta quindi nelle caratteristiche sensoriali, e neppure nella crisi economica, quanto piuttosto in una mancanza di rinnovamento nella narrazione: ecco, rispetto a 30 anni orsono facciamo una grappa davvero migliore, ma la raccontiamo ancora allo stesso modo.  Forse non funziona più.

Narrare per sognare

In un mare di informazioni, prodotti, certificazioni territoriali e raccomandazioni salutistiche, ecologiche e tradizionali, l’assaggiatore naviga ancorandosi al proprio giudizio. Non è ora di fornire una bussola che dia dei riferimenti di qualità e degli strumenti per riconoscerla sensorialmente? Non è ora di donare al mondo una narrazione che lasci sognare i degustatori insieme a chi crea i veri e propri capolavori alimentari made in Italy?

Non è una novità che un racconto aiuti a trasmettere e condividere valori e concetti. Miti e leggende sono tra le più antiche forme di divulgazione di idee. Eroi e dei si avvicendano nelle loro imprese, spiegando la formazione del mondo, la nascita dell’uomo e delle società e fornendo riferimenti e regole di vita.

Anche l’utilizzo della narrazione nella comunicazione dei prodotti è da tempo più o meno consapevolmente utilizzata. Basti pensare ai venditori ambulanti che già nell’antichità declamavano nelle piazze a piena voce non solo le virtù dei propri prodotti, ma la loro unica e avvincente storia, anche inventandone una fantastica se necessario.

Più recentemente fenomeni come il Carosello hanno utilizzato la storia e il racconto per comunicare i prodotti. All’epoca del boom economico così il racconto acquisì un’importanza strutturale, tanto che la réclame divenne un vero e proprio momento di svago per grandi e piccini, che ancora oggi cantano jingle di caffè e amari.

La comunicazione contemporanea conosce bene la potenza del racconto e sfrutta questo strumento per pubblicizzare prodotti e raccontarne le virtù. Piccoli eroi hanno animato vicende attorno a merendine e dolcetti per la colazione, la più bella della classe è crollata innanzi al fascino di automobili e immaginari impiegati bancari hanno raccontato la loro storia (per dare a queste istituzioni un volto più umano). E ancora: flotte di fermenti lattici raccontano di guerre intestine, cumuli di polvere si animano per parlare di panni casa, principi e principesse interagiscono per narrare le virtù di lunghissima carta igienica.

Tanto sono avvincenti alcune trame e tanto restano impresse nella memoria che talvolta ci si chiede menzionandole: “ma che cosa pubblicizzava quello spot così divertente?”

Il settore alimentare è ricco di storie e di stimoli. Le persone che animano le aziende, i territori in cui sono immerse, le tradizioni legate ai singoli beni sono una fonte inesauribile di vicende e soggetti per veri e propri romanzi. Cosa ancora più importante, ogni prodotto può originare un racconto attraverso la propria sensorialità, le proprie caratteristiche e le emozioni che evoca. Questo l’ha ben scoperto il settore enologico, che ha iniziato a parlare delle vicende delle cantine e a comunicare le caratteristiche dei vini. Ma il vino non è l’unico prodotto di grande valenza sensoriale ed evocativa. Perché non il caffè, il riso, i salumi, dolci o i distillati? E persino frutta e verdura e preparazioni gastronomiche.

L’Italia è ricca di storia, tradizioni, qualità e innovazione. Si è parlato fino alla noia di tutto questo tanto che è desueto ormai persino il concetto di “innovazione nella tradizione”.

La sfida dell’oggi è fare qualità raccontandola e calandola nella quotidianità di chi ne usufruisce. Più l’assaggiatore sarà protagonista delle sue esperienze, più legherà il prodotto a ricordi ed emozioni. Più l’utente sarà coinvolto ogni giorno nello sviluppo dell’attenzione verso le proprie percezioni per poter godere del piacere offerto dai beni e dai territori, più sentirà un effettivo miglioramento della propria qualità della sua vita, eludendo così le mere e fittizie opere di marketing o i ridondanti richiami a una tradizione rianimata giusto all’occorrenza.

I beni di qualità sono un frutto sincero e contemporaneo di un percorso inserito in un contesto coerente, al tempo stesso locale e mondiale, antico e moderno. Se sapremo dare agli assaggiatori una guida che li accompagni nella scoperta sensoriale del piacere, potremo lasciare in lui un ricordo indelebile, e allora potrà sognare insieme a noi.