Sensory News

Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Prosciutto crudo: una delizia, quando è buono

Il prosciutto crudo è sicuramente uno dei prodotti più complessi nel mondo della salumeria italiana, nonché uno dei più amati e serviti sulle tavole italiane. Ma come si può riconoscere la qualità di un prosciutto crudo e quali sono le caratteristiche sensoriali che lo contraddistinguono?

Un primo fattore particolare che incide sulla qualità del prodotto deriva dalla lavorazione e consiste nel portare alla stagionatura una coscia intera: ciò impedisce che muffe e batteri penetrino nelle carni e quindi avviene che le proteolisi, fondamentali per la stagionatura, siano principalmente di origine enzimatica.

Un’altra caratteristica distintiva è legata al fatto che la coscia è formata da vari fasci muscolari diversamente esposti all’ambiente, pertanto si potrebbero riscontrare differenze sensoriali anche sul medesimo pezzo. Sicuramente l’uniformità sensoriale non è punto di forza del prosciutto crudo: è possibile che ci siano differenze notevoli da pezzo a pezzo ma anche all’interno dello stesso pezzo. Le differenze sensoriali si percepiscono sia sull’aroma che sul sapore del prodotto, ma le possiamo considerare in modo positivo in quanto aumentano sicuramente la complessità e la ricchezza aromatica.

Il successo del prosciutto crudo è legato principalmente agli aromi tipici: delicati e spesso tendenti alla frutta secca. La percezione del dolce delle carni è una caratteristica molto ricercata soprattutto in un prodotto con lunghi tempi di stagionatura ed è legata principalmente alla marezzatura, cioè alla presenza di piccole venature di grasso intramuscolare, importante anche per bloccare parte degli aromi liposolubili che si formano durante le proteolisi e lipolisi. Inoltre viene apprezzata maggiormente la tendenza al sapido che non al salato e anche questo aspetto è legato alle forti proteolisi delle carni.

Gli aspetti sensorialmente negativi, invece, sono principalmente collegati a una prevalenza del salato, o alle infiltrazioni di aria che portano all’ossidazione della carne con formazioni di aromi di rancido e putrido, che spesso si riscontrano  in corrispondenza dell’osso a causa del passaggio dell’aria durante la stagionatura.

I prosecchi, una nuova categoria di vini

In una recente indagine proposta da Vinitaly scopro che alla domanda “Quali vini consuma con maggiore frequenza” compare, insieme ai bianchi fermi, agli spumanti e ai vini invecchiati/barricati la categoria dei “prosecchi”. La cosa mi incuriosisce: il prosecco è diventato così importante da essere classificato a sé? C’è un interesse particolare della Regione Veneto a volere conoscere qualcosa di più sugli atteggiamenti del consumatore o devo pensare che in futuro potremo avere una categoria di spumanti intermedi tra i dolci e i secchi chiamata “prosecco”?

Mi incuriosisce ancora di più se penso che invecchiati e barricati siano stati uniti sotto un’unica categoria nell’indagine e non nascondo di essere anche un po’ a disagio nel dare risposta:  io bevo molto volentieri e con buona frequenza gli invecchiati, ma aborro i barricati. E c’è una bella differenza tra un raffinato Barolo che dal legno è stato educato ma non lo mette in evidenza e una spremuta di rovere chiamata vino come di sovente succede con i barricati.

Riusciranno a riaccendere il mondo della grappa?

Un nuovo governo per l’Adid, l’associazione degustatori italiani grappa e distillati, è stato eletto agli inizi di febbraio. Potrebbe essere una notizia di cronaca, ma assume un significato ben maggiore se pensiamo all’attuale stato della grappa.

Per comprenderlo diamo un’occhiata al passato: negli anni Settanta l’idea della grappa di monovitigno – supportata dalle confezioni in vetro soffiato – porta alla ribalta la nostra acquavite di bandiera; negli anni Ottanta si attivano gli assaggiatori di grappa con i corsi, i concorsi e le centinaia di serate di degustazione; negli anni Novanta si affermano le grappe invecchiate che avanzano per tutto il primo decennio del secolo attuale.

E ora? Pare che il mondo della grappa non abbia più carte in mano. In realtà non è così, ma a preoccupare è lo stato catatonico in cui vive. Non sono i cali consumo di qualche punto percentuale a preoccupare, ma la mancanza di idee, il pessimismo e la nuova ondata di  individualismo che minano le possibilità di successo del settore.

L’Istituto Nazionale Grappa è decisamente impegnato sul fronte della tutela, e fa bene, perché sta portando avanti la scheda a livello europeo in cui, tra l’altro, è previsto il sacrosanto diritto all’imbottigliamento in zona. Ma alla promozione chi ci pensa?

È per questo che il nuovo governo dell’Adid (insieme ad Antenore Toscani, riconfermato presidente, siedono in consiglio Cristiano Comotti, Italico Sana, Thomas Orlandi, Marco Falconi, Manuel Massimo Fontana e Renato Hagman, mentre sono stati eletti sindaci Mirko Rigoni, Matteo Medici, Renato Paini e Maggiulli Salvatore; probiviri Enrico Rigamonti, Gabriele Ceruti e Vittorio Faccioli) ha una notevole responsabilità, avendo competenze e potenzialità per svolgere un buon lavoro di promozione. Ai nuovi eletti i nostri migliori auguri, al mondo della grappa l’invito a supportarli.

Salviamo gli alberi: analisi sensoriale senza carta

Lo so, avete subito pensato alla scoperta dell’acqua calda, perché da anni i giudici sensoriali, chiusi in loculi chiamati cabine, registrano le loro valutazioni usando pc. Ma noi non intendiamo questo. Noi intendiamo che da oggi chiunque e in qualunque parte del mondo si trovi può registrare il proprio giudizio attraverso il proprio smartphone, tablet, pc o mac. Gli è sufficiente una wifi e riceve sul suo device una scheda che compila con tutta tranquillità mentre il conduttore del test, anche a migliaia di chilometri di distanza, osserva in diretta il lavoro del suo giudice.

Questo significa dilatare in modo mirabile le potenzialità dell’analisi sensoriale. Se a trarne grande beneficio sarà il lavoro di laboratorio dove non si useranno più schede cartacee con il conseguente caricamento ottico o manuale e dove potremo mandare in pensione vecchi pc e costosi monitor, non da meno sarà per i test sui consumatori e le valutazioni di punti vendita e locali.

Il visitatore dell’enoteca regionale (scegliete voi quale) potrà fornire le sue generalità di consumatore ed esprimere la valutazione del bicchiere di vino che gli è stato offerto. Con migliaia (o milioni di valutazioni) si potrà generare uno storico per impostare l’innovazione di un intero territorio, ma già da subito il produttore potrà ricevere i dati riguardanti il suo vino, e magari contattare chi l’ha assaggiato per una proposta commerciale.

Per non parlare che il sistema (che si chiama Ads System ed è stato messo a punto da Horizon Design, mail@horizondesign.it) può essere convenientemente impiegato per fare giocare gli ospiti a una cena, permettere di rilevare i giudizi dei clienti in una fiera o consentire la realizzazione di un banco di assaggio sulla metodologia Stratus Tasting.

Parlano in modo diverso, ma tutti esprimono passione

Verso la metà del secolo scorso le colline della porta orientale d’Italia sono state divise da un confine tracciato da mano impietosa: una parte restò italiana, l’altra finì alla Jugoslavia, ora Slovenia. Così sono ancora ora, ma oggi Italia e Slovenia vivono unite sotto la bandiera dell’Unione Europea e quindi si torna a comunicare, seppure con lingue diverse.

Tra le tante cose positive di questo nuovo assetto una di quelle che maggiormente appassiona  è il confronto sui prodotti tradizionali tipici al quale è stato dedicato il progetto transfrontaliero Solum. Nell’ambito di questo all’inizio di febbraio si è svolto un seminario sulle mappe sensoriali dei vini sotto l’egida dei Narratori del Gusto e la regia di Daniela Markovic che del movimento è leader molto attivo.

Durante l’evento nella sala gremita del Hotel Palace di Gorizia, alla presenza dell’assessore all’agricoltura Mara Cernic e degli attivissimi funzionari dell’assessorato Marzia Bonetti e Paolo Zossi, si sono confrontati due vini dell’uno e dell’altro Collio: il Friulano dell’azienda agricola Ales Komjanc e il Pinot grigio dell’azienda Kristalvin di Ales Kristancic (presidente del Consorzio Brda). Al confronto, eseguito con la tecnica delle mappe sensoriali, è seguita una carellata di degustazioni: due autoctoni della Valle del Vipacco, Pinela e Zelen dell’Azienda Furlan, un Collio bianco dell’Azienda Silvan Primosic, mieli dell’Associazione Apicoltori di Gorizia, l’olio d’oliva di Ales Komjanc e l’aceto d’uva di Josko Sirk.

Tutti i vini sono risultati accomunanti da una buona generosità alcolica e da una notevole complessità, espressa però su tonalità molto differenti, tale insomma da consentire di creare percorsi narrativi variegati e mai monotoni. Dal seminario, tra le tante possibili, desideriamo porre in evidenza tre deduzioni: le mappe sensoriali dei vini funzionano che è una meraviglia anche con neofiti,  la gente quando gioca impara velocemente e il Friulano (l’ex Tocai, tanto per essere chiari) ha perso la sua nota di mandorla amara. Era ora, no?

Scoprire come il mondo si prepara alla eccellenza: Tazzine d’Oro 2013 e poi …

Nel mondo del vino la cosa è scontata: si comprano le migliori bottiglie all’estero e attraverso l’analisi sensoriale si cerca di penetrare nei segreti della filiera produttiva. L’obiettivo è ovviamente tentare di capire attraverso prodotti di successo i gusti del consumatore di un determinato mercato. È  un metodologia che si usa quasi dai tempi in cui il vino, grazie all’invenzione della bottiglia pesante ed economica, ha cominciato a essere imbottigliato all’origine, vale a dire da qualche secolo.

Nel caffè questa indagine comparata non è così frequente, perché mancano soprattutto le occasioni. A offrirne una decisamente ghiotta sarà l’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè che il prossimo 22 febbraio a Tazzine d’Oro 2013, l’open day che si svolgerà a Milano alla Terrazza Aperol (Piazza Duomo), presenterà i caffè che hanno vinto la medaglia d’oro all’International Coffee Tasting 2012. Ognuna di esse racchiude la filosofia e l’abilità di un torrefattore che ha unito, attraverso la sua sensibilità, gli imput del mercato alla conoscenza delle monorigini e alla sua arte di creare miscele per offrire al mondo qualcosa capace di fare vibrare i sensi.

All’International Coffee Tasting 2012 hanno partecipato 113 miscele provenienti da 11 nazioni valutate da 27 assaggiatori di 13 paesi diversi: dunque si può affermare con una buona probabilità di non sbagliare che i caffè premiati siano un’autentica espressione dell’eccellenza mondiale.

Un’altra fantastica occasione per comparare miscele e monorigini potrà essere Verona, dove nell’ambito di Agrifood Club (Vinitaly 7/10 aprile) si sta preparando Coffee Experience che darà la possibilità di degustare oltre trenta miscele. Ma di questo parleremo ancora, intanto troviamoci a Milano.

Scarica l’invito a Tazzine d’Oro 2013.

Diventare assaggiatore di carne

Bianco nella carne: ma poi sarà dura o sarà morbida? È un quesito che mette in crisi anche molti specialisti. Perché, a uno sguardo superficiale, le parti bianche nella fettina che compriamo possono sembrare tutte uguali: solo quando è cotta finiamo per scoprire a nostre spese se è tenera o dura come una suola, ovvero se il bianco in questione era grasso, in grado di mantenere nella carne grigliata morbidezza e umidità e conferirle aroma, oppure tessuto connettivo interfibrale, dalla consistenza simile al chewingum, che può diventare gelatinoso solo con cotture molto lunghe.

La necessità di diffondere la cultura della qualità sensoriale della carne tra i consumatori e gli operatori (allevatori, macellai, chef) si sente da tempo. Da quest’anno sono finalmente aperti al pubblico dei corsi specifici per imparare a distinguere, attraverso il metodo scientifico dell’analisi sensoriale, le caratteristiche della carne che determinano la piacevolezza.

Il metodo è stato messo a punto da De Gustibus Carnis, l’Istituto Italiano Assaggiatori Carne fondato da professionisti del settore, con il supporto scientifico del Centro Studi Assaggiatori. Un anno di lavori è occorso alla giovane associazione per ricavare dati sulle caratteristiche che si presentano nella carne, per ricollegare gli aspetti visivi e olfattivi del prodotto crudo a quelli gustativi, tattili e aromatici del cotto, correlandoli inoltre ai dati chimici, nutrizionali e alle fasi della filiera in cui vengono determinati.

Ora questo metodo, già messo a punto sulla carne bovina e in via di definizione sulle altre tipologie, è a disposizione di chiunque voglia diventare assaggiatore di carne, per lavoro, passione o semplice desiderio di informazione: il primo corso per Giudici Qualificati di analisi sensoriale della carne si svolgerà a Bardolino (VR) il 17 e 18 febbraio. Per informazioni e iscrizioni degustibuscarnis@gmail.comwww.degustibuscarnis.it

Pensione a 70 anni per gli assaggiatori e i giudici di analisi sensoriale

Così potrebbe titolare un divulgatore distratto dopo aver letto un bell’intervento di John Prescott sulla decadenza dell’olfatto dopo i 70 anni. Gli elementi ci sono tutti: l’autorità dello scrittore (Prescott è co-editor di Food Quality & Preference), un argomento che mette ansia e la possibilità di fare notizia.

Potremmo però vedere la cosa al contrario, perché fonti bibliografiche di un tempo riportavano notizie ancora più tragiche sulla decadenza dell’imperatore dei sensi: sessantacinque, sessanta e persino cinquant’anni. Dipende un po’ dall’angolo di osservazione: c’è chi conta la riduzione dei recettori e chi vede l’appannamento intellettivo.

In realtà l’articolo di Prescott è ineccepibile e fa una lunga disamina del fenomeno trattando dell’allungamento della vita, dell’ambiente in cui uno vive, delle abitudini, delle patologie e della motivazione. Dà persino un contentino alle donne, confermando che non solo sono in genere più brave, ma che vivendo più a lungo rispetto al sesso forte, in loro il decadimento dell’olfatto comincia più tardi.

Anche noi, attraverso l’esperienza ventennale nella conduzione di panel, abbiamo una buona parola da dire: man mano che si procede con l’età la differenza tra individuo e individuo si fa sempre più grande. Basti pensare che il miglior giudice del gruppo di valutazione del Centro Studi Assaggiatori è stato tale fino all’età di 80 anni e che oggi nel panel siedono membri affidabilissimi che i settanta li hanno superati da un pezzo. Quindi non generalizziamo: se c’è chi continua a percepire bene possiamo essere legittimati a coltivare la speranza di essere tra questi. Ma andiamo oltre: come fare? Con l’allenamento. Noi siamo convinti che gli anziani possano sopperire con l’esperienza alla riduzione dei sensori, ricavando come utilità non marginale il fatto di vivere meglio. È infatti noto come un olfatto attivo ci renda più sicuri e sereni. La molla, verso questa direzione, è la motivazione, che sicuramente trova la sua fonte propulsiva nella curiosità, nel desiderare di percepire per avere una migliore coscienza di quanto ci circonda.

Un consiglio quindi: cercate il piacere olfattivo per avere una vita migliore.

Il bello e il brutto della memoria sensoriale

Abbiamo uno stramaledetto vizio: quando valutiamo o descriviamo un’esperienza andiamo per comparazione. Anche quando ci lasciamo andare in una semplice affermazione del tipo “bello” o “brutto” la nostra mente corre immancabilmente a ciò che ha provato in passato, cerca insomma di inserire nel proprio spazio campionario la nuova serie di stimoli e le relative emozioni.

Tutti possediamo una memoria sensoriale, nessuno escluso. Certe forme di questa memoria sono antiche, tanto che il ricordo si recupera solo per analogia, quando riceviamo uno stimolo simile. Altre possono essere decisamente recenti e a breve termine: saranno abbandonate appena cesserà la loro utilità.

In analisi sensoriale la memoria a breve termine si utilizza molto per tarare il gruppo:  quando si raccolgono le valutazioni e si calcola la mediana i giudici hanno ancora un ricordo molto vivo del prodotto appena assaggiato e, se motivati, possono facilmente acquisire i dati emersi e connetterli all’esperienza vissuta.

Purtroppo la memoria sensoriale è ben presente anche durante il test, per cui un campione assaggiato per primo condiziona la percezione di quello che segue, il quale a sua volta condiziona il successivo e così via. Non c’è assaggiatore che sfugga a questo meccanismo, per quanto sia stato edotto del problema che va sotto il nome di “effetto alone”.

I panel leader lo conoscono molto bene e possono approfittarne: mettendo i campioni in una certa successione possono ottenere un certo profilo anziché un altro, possono in pratica confermare l’ipotesi voluta con maggiore facilità. Ecco perché si dice che l’onestà intellettuale del panel leader è una caratteristica imprescindibile dalla posizione. Quando fattibile non si dà però questa possibilità al panel leader, imponendo per esempio un piano di assaggio ruotato o randomizzato.

L’effetto alone si fa particolarmente sentire nei concorsi enologici dove, di prassi, i campioni sono serviti a tutti i commissari nello stesso ordine. Questa è una delle ansie maggiori per chi vuole garantire ai produttori equità di giudizio e uno dei motivi di disagio quando si vede, per esempio, che un campione si guadagna la medaglia in una commissione e nell’altra no.

Insomma, noi umani siamo davvero dei fenomeni, e chi si occupa di analisi sensoriale non può fare a meno di tenerne conto.

Li conoscete e sapete identificare i nuovi difetti dei vini?

Lo ammetto, sto rimpiangendo i tempi in cui i difetti dei vini erano decisi: lo spunto era spunto, quasi aceto; l’ossidato era ossidato, si poteva anche dire marsalato; il filante era raro, ma esisteva, e non si avevano difficoltà a riconoscerlo, perché il vino sembrava olio; l’amarore non lasciava dubbi, era come bere un caffè senza lo zucchero.

Oggi non è più così, non ci sono più le sane malattie di una volta. I difetti presenti fanno discutere, fanno i politici: sarà cavallo sudato di razza o sarà imbastardito con la muffa? È un eccesso di etanale o una nota evolutiva progettata dall’enologo come ha detto il dotto sommelier nell’ultima degustazione? È una malolattica sbagliata o una pregevole nota di burro indotta con un pizzico di acido citrico in fermentazione?

Quando giro tra i banchi dei commissari nei concorsi enologici mi capita più volte di essere interpellato da un presidente per chiedermi se una stramaledetta percezione negativa è tappo o un difetto derivato dal legno. Non è sempre facile rispondere. Non lo nego: a volte mi mettono un po’ a disagio. Ma ho trovato un paio di occasioni che mi hanno rincuorato.

La prima è stata una bellissima esperienza con un’ottantina di sommelier, proprio un corso sui difetti: un vino non molto caratterizzato – ma non neutro – veniva via via aggiunto di analiti produttori di difetti attribuibili a una fase della filiera, ogni partecipante descriveva il difetto e poi si spiegava a quale molecola era attribuibile e a cosa era dovuta. Bene: le percentuali di identificazione (pubblicate tra l’altro su una serie di numeri de L’Assaggio) sono state bassissime.  Ma durante una cena che concludeva alla grande una bella manifestazione enologica ho avuto una soddisfazione ben maggiore. Erano presenti Alain Bertrand (professore emerito all’Università di Bordeaux, un luminare nel campo della chimica del vino e delle acqueviti) e Roberto Zironi, professore, non ancora emerito, all’Università di Udine, uno degli enologi accademici italiani più famosi tanto in patria quanto all’estero. A entrambi, separatamente, feci sentire un vino che difettato era di certo, ma la cui malformazione non riuscivo e identificare. Mi diedero due risposte diverse, e io rimasi con la terza da me ipotizzata, ma ancor meno sicuro che fosse giusta.

Questo per dirvi che i nuovi difetti dei vini non sono cosa facile. Ma non è certo un buon motivo per demordere: occorre semplicemente studiare nel modo giusto, con tecniche adeguate. Noi crediamo molto nel corso dove le sostanze che danno l’anomalia vengono aggiunte al vino in quantità maggiorate, sono fatte percepire e poi spiegate. Voi cosa ne pensate?