Sensory News

Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Tornare giudice

Per essere un buon panel leader bisogna saper leggere il pensiero e le emozioni dei giudici. Tornare per un giorno giudice di un grande panel è una buona cura per i vizi dei panel leader e un modo per aprirsi a nuove visioni e capire ancor meglio quanto l’analisi sensoriale sia un esercizio di condivisione.

Quando si è abituati a vivere i test, i concorsi, le certificazioni da dietro le quinte, tornare a effettuare una valutazione nelle vesti di giudice è quasi un piccolo trauma. Questo è quello che è capitato trascorrendo una giornata di test sul caffè nel ruolo di assaggiatore.

Un giudice che è anche panel leader sa esattamente cosa sta accadendo in sala, cosa succede nel locale di preparazione dei campioni, cosa passa per la testa del panel leader che guida il test e intercetta stimoli e momenti di delicata gestione del gruppo.

La possibilità di vivere un giorno da giudice fa anche ricordare e capire con occhi diversi perché la grande macchina organizzativa dell’analisi sensoriale è strutturata in modo fisso e al tempo stesso adattabile. Sì, perché tutto deve funzionare in modo perfetto per dettare i tempi al panel, ma deve essere abbastanza flessibile per poterne seguire le necessità.

Il panel leader torna a scoprire cosa significa avere pause troppo lunghe tra un campione e l’altro, capisce in che modo certi giudici possono distogliere l’attenzione e disorientino durante i preliminari del test. Tutte cose, queste, che un bravo conduttore già conosce, ma sperimentare sulla propria pelle la noia suscitata da un giudice troppo puntiglioso che durante una taratura viene educatamente riportato nel gruppo dal panel leader, è sempre un’esperienza su cui riflettere.

E allora è possibile capire quanto la taratura sia per un giudice il momento più delicato di tutto il test. Ogni panel leader è abituato a confrontarsi con giudici che contestano la mediana, che vogliono per forza dire la propria opinione o addirittura imporre le loro idee di giudice monocratico. Solamente vivendo la taratura nelle vesti di giudice il panel leader può però ricordare quanto sia impellente la voglia di affermare in modo assolutistico “No! Questo caffè aveva almeno 6 di acidità!” o, “ma come hanno fatto a non sentire il floreale in questo campione?”

La ragione rammenta poi che forse proprio quel giorno e in quel momento potresti essere tu a percepire gusti e aromi in modo diverso e singolare, che forse è la tua personale esperienza o il tuo umore a fare discostare i tuoi giudizi dalla mediana del gruppo. Con una grande dose di umiltà quindi si rinsavisce e si accetta la mappa della realtà fornita dal gruppo. E questo è il punto: un giudice deve essere umile e il panel leader deve ricordare sempre quale sforzo di umiltà sta chiedendo a ogni singolo individuo coinvolto nel test.

Come non capire quindi l’esperto del settore, il produttore, il giornalista che, non avvezzi a questa disciplina, faticano a comprendere l’importanza del giudizio del gruppo? E questo è il punto cardine dell’analisi sensoriale e l’obiettivo di tutti i panel leader, sensorialisti o comunicatori che fondano il proprio lavoro su questa metodologia: rendere le persone anche più esperte consapevoli dell’importanza dell’altro.

L’analisi sensoriale è una disciplina di condivisione o, come mi hanno suggerito ultimamente proprio dei bravissimi giudici, una scienza democratica.

Per chi panel leader ancora non è e magari vorrebbe diventarlo, dal 27 al 31 agosto si terrà a Brescia un corso organizzato dal Centro Studi Assaggiatori.

Cose mai viste: i tecnici che fanno un corso di narrazione ai giornalisti

La sfida ci stava tutta: un corso per narratori a chi il narratore lo fa di professione. A prepararci le forche caudine è stato l’Ente del Turismo di Alba, Bra, Langhe e Roero che ha riunito nel Castello di Barolo, giusto sotto il singolare museo del vino dove si colloca una sala ampia e luminosa destinata a eventi come questo, quindici operatori della comunicazione ai quali ha offerto il corso di brand ambassador, il primo gradino per diventare Narratori del gusto.

In effetti all’inizio del corso non sono mancati sguardi che palesavano la posizione di chi ti aspetta al varco, ma in poco tempo scemavano le tendenze critiche e isolazioniste e il gruppo viaggiava all’unisono verso le pur difficili tecniche di analisi sensoriale che doveva apprendere. L’innovazione più importante dei Narratori del gusto sta proprio qui: non c’è qualcuno che ti dice cosa devi sentire, ma solo una guida che ti accompagna alla scoperta di come funziona il meccanismo della percezione, come si legge il codice sensoriale di un prodotto e del suo territorio, come si può esprimere una sensazione e in quale misura può essere condivisa.

Se i partecipanti sono stati soddisfatti – e non solo per le esercitazioni incentrate su crema di nocciole, Dolcetto, Barbera e Barolo – noi lo siamo stati di più, se non altro perché ci siamo portati a casa più di un argomento sul quale riflettere. In primo luogo abbiamo compreso che, per fare diventare grande il nostro movimento, abbiamo bisogno dei narratori di professione e non solo per il ruolo di formatori di opinione che rivestono. Gli operatori della comunicazione hanno il dono di saper scrivere in modo che per gli altri sia facile capire e quindi possono dare un contributo enorme per qualificare l’associazione sotto il profilo stilistico. Al rigore della scienza sulla quale si basano i criteri formativi di Ndg loro possono aggiungere piacevolezza ed efficacia di divulgazione.

Quindi speriamo che a questa prima falange altri si possano aggiungere, ma soprattutto che quanti sono stati a Barolo possano restare vicini ai Narratori del gusto e contribuire al suo successo, con il conseguente riflesso sul nostro patrimonio tipico tradizionale. Più che mai ne abbiamo necessità.

Davvero non vuoi diventare panel leader?

Panel leader è bello: guidare un gruppo di valutazione in analisi sensoriale è sicuramente emozionante. Ma non manca chi pensa che non gli serve, perché tanto lui un gruppo di giudici non ce l’ha. E’ una visione riduttiva di questa figura cardine dell’analisi sensoriale.

Diventare panel leader significa imparare a fare i piani sperimentali, a ricavare qualsiasi scheda possa occorrere anche per prodotti non ancora testati, a motivare e guidare i giudici, a elaborare i dati e interpretare i risultati. Il percorso che porta all’abilitazione di panel leader è l’unico che dà una visione esaustiva dell’analisi sensoriale impiegabile nella certificazione qualità, nella ricerca e nello sviluppo, in produzione e nel marketing. Ma c’è di più: il percorso offre nuove modalità di relazione con le persone e con le cose, perché in analisi sensoriale lo strumento utilizzato è per la stragrande maggioranza dei casi costituito da umani.

In questo periodo possiamo vedere i benefici della qualificazione anche in ottica occupazionale, soprattutto nelle industrie alimentari, sempre più chiamate dalle certificazioni Brc e Ifs ad avere personale in grado di svolgere test sensoriali. La qualifica di panel leader può essere di grande beneficio per il proprio curriculum, perché consente di soddisfare nuovi bisogni aziendali. Lo può essere per il dipendente, ma lo stesso vale per il libero professionista che acquisisce la capacità di formare gruppi di valutazione sensoriale (panel) o, per lo meno, di interloquire con competenza con le società esterne che svolgono questi servizi. Non pensiamo solo ai tecnologi, ma anche agli uomini di marketing che si trovano quotidianamente a considerare i risultati di costosi test sui consumatori.

E se pensate che la formazione sia lunga e onerosa siete fuori strada: le moderne tecniche didattiche consentono di fornire le competenze necessarie in 40 ore.

Siete ancora dell’idea di non diventare panel leader?

Scoperto un fenomeno: identifica correttamente 997 vini Doc

Due giorni di lavoro, un sommelier che gli serviva il vino rigorosamente anonimo, un altro che gli portava via il bicchiere usato. Nessun altro nella stanza tranquilla che il nostro protagonista ha voluto protetta dalla luce del sole, lavorando nella penombra che meglio aiuta la concentrazione. La sfida che gli è stata proposta: identificare 1.000 vini attribuendo a tutti la denominazione di origine. La sfida che si è posto da solo: superare un noto recensore nel numero di assaggi giornalieri, con la differenza che il guidaiolo si poneva l’obiettivo di dare un punteggio conoscendo il nome del vino e il produttore, mentre lui doveva scrivere su un foglio di carta la denominazione e, se presente, anche la specificazione (per esempio “riserva”). La seconda sfida l’ha vinta: in due giorni ha assaggiato 1000 vini. Ma secondo noi ha vinto anche la prima: ha identificato correttamente 997 vini senza neppure lasciarsi ingannare dalle cinque repliche che erano state inserite all’interno delle interminabili serie. Ha sbagliato, e di questo si rammarica molto, l’Albugnano, il Bagnoli di Sopra e il Faro. Ma di quest’ultimo non si è certi dell’errore, perché era il 477° del secondo giorno e ai certificatori della prova è parso che fosse scritto Fara.

Questo è quello che vorremmo riuscire a scrivere un giorno su un post, ma la realtà di oggi è ben diversa. A 24 giudici (sommelier di lungo corso, assaggiatori ed enologi) è stato chiesto di dire che vino era un Sangiovese di Romagna. Ben quattro lo hanno identificato come Merlot, tre come Cabernet e tre come Pinot nero, ma non è mancato chi ci ha visto un Lagrein, un Refosco e persino un Groppello. Tralasciamo gli altri per brevità, diciamo che solo tre hanno affermato che era un Sangiovese. Del vino è stata dichiarata la denominazione, ed è stato riproposto il giorno dopo. La situazione è peggiorata: solo due le risposte corrette. E’ stato quindi riproposto una terza volta e per fortuna tre degustatori hanno detto che era Sangiovese.

E’ solo una delle tante sperimentazioni sensoriali che stiamo conducendo per smontare leggende metropolitane che vogliono creare miti e folle di appassionati del vino che li rincorrono ammirati. Stanno emergendo dei dati molto interessanti sul perché è così difficile memorizzare un vino come si fa con il volto di una persona, ma noi non smetteremo di cercare il fenomeno capace di identificare 997 vini su 1.000. Quindi chi si sente pronto alla sfida si faccia avanti, lo testeremo volentieri, ma mi sa che la soddisfazione la troveremo solamente in quanto avanza nelle bottiglie che apriremo per lui.

Vuoi fare diventare la tua Dop famosa? L’esempio viene dall’Est

Utilizzare l’analisi sensoriale come strumento di valorizzazione ma soprattutto di comunicazione delle denominazioni: è stato questo il messaggio finale lanciato alla consegna dei diplomi per panel leader del prosciutto Istriano. Durante la cerimonia sono stati inoltre marchiati dall’assessore regionale all’agricoltura e dal Ministro dell’agricoltura i primi prosciutti a denominazione di origine controllata della Croazia che saranno inviati alla CE per il riconoscimento DOP/IGP ai sensi del Reg CE 510/06.

Per questi prodotti, che a breve entreranno nel panorama europeo, diventa importante non tanto definire il sistema di valutazione, quanto piuttosto valorizzare le caratteristiche sensoriali comunicandole in modo efficace e trasmettendole ai consumatori che ancora non li conoscono.

Comunemente l’analisi sensoriale è vista come un metodo utilizzato per la valutazione del prodotto e lo stesso discorso vale anche per l’analisi delle denominazioni che devono rispettare le caratteristiche previste dal disciplinare di produzione. È però molto di più di questo.

Partiamo dalla definizione per capirne meglio il significato: l’analisi sensoriale è l’insieme di tecniche e metodi che da una parte consentono di descrivere e misurare la sensazione e la percezione della realtà e dall’altra di migliorare la percezione, agendo direttamente sulla qualità della vita. Quindi, da questa definizione abbiamo già impliciti due campi di applicazione dell’analisi sensoriale: il primo legato all’individuazione degli attributi caratterizzanti del prodotto e il secondo riguardante la comunicazione delle caratteristiche del prodotto ai consumatori.

Punti cruciali nella gestione di una denominazione di origine sono l’individuazione delle fasi del processo che influenzano le caratteristiche del prodotto finito e comunicare e far comprendere al consumatore finale come riconoscere pregi e difetti del  prodotto. Lo strumento ideale per definire le qualità percepite e aiutare il consumatore nella loro percezione è sicuramente l’analisi sensoriale.

Attraverso l’utilizzo delle tecniche descrittive possiamo infatti costruire le mappe del prodotto e con i profili oggettivi quantitativi, qualitativi soggettivi e analogico affettivi possiamo anche trovare le relazioni tra le caratteristiche del prodotto e le fasi differenzianti del processo produttivo.

Da questo presupposto possono quindi essere studiati dei seminari per comunicare le caratteristiche del prodotto in modo da formare il consumatore sul riconoscimento dei pregi e dei difetti. Possono anche essere condotti test sulla piacevolezza al fine di valutare se il consumatore è in grado di riconoscere i meriti del prodotto e collegare tali caratteristiche al profilo edonico. L’analisi di questi dati ci permette dunque di capire quali sono i punti di azione e di miglioramento nella comunicazione del prodotto stesso, in modo da promuoverlo in maniera più diretta, cioè grazie alla percezione del consumatore, sicuramente un ottimo modo per presentare prodotti non molto conosciuti…

Potrebbe essere uno spunto anche per la comunicazione dei nostri prodotti tradizionali seppur famosi, cercando di non comunicare solamente la fama della denominazione ma anche le caratteristiche sensoriali percepite, creando forti collegamenti con il territorio di provenienza.

Il futuro del vino si chiama Cina?

Al corso in viticoltura ed enologia dell’Università di Udine, a studiare analisi sensoriale, oltre il 10% degli studenti era cinese. E gli studenti non erano dieci, ma 35! Vero è che a livello universitario è il corso più internazionale: c’erano pure cinque argentini, tre tedeschi e una serba, ma i quattro cinesi presenti mi hanno dato da pensare.

Sono curiosissimi, attenti, meticolosi, obbedienti, disciplinati e, pur non avendo la piena padronanza della lingua, molto interattivi.  Vogliono portarsi a casa il massimo e non si risparmiano, cercano di superare il blocco della semantica operando velocissimi con traduttori, ai quali peraltro molte volte manca il gergo enologico.

Per loro il vino è il simbolo di un nuovo modo di vivere, riservato a pochi (si fa per dire: centinaia di milioni di persone) ma indicatore di una nuova cultura. Ed è proprio dalla cultura che partono. Sono consci che per farlo apprezzare ne dovranno raccontare la storia e la sensorialità. La prima è relativamente facile, la seconda tutt’altro.

Percepiscono diversamente da noi: il dolce è troppo, l’amaro è insopportabile, l’acido si spera sia moderato, l’astringente è qualcosa che fa storcere la bocca e fa diventare ancora più sottili gli occhi a mandorla. Molto attenti ai profumi, che colgono in profondità, ma esprimono con parole diverse dalle nostre. Per poter fare il vino e per poterlo comunicare hanno quindi necessità di crearsi un vocabolario proprio, altrimenti i discorsi si fanno tanto gergali da risultare privi di significato per i più.

Presso di loro l’Italia gode di una fama che forse supera anche quella della Francia, ma sono adeguatamente seguiti e considerati? Forse no, forse bisognerebbe fare qualcosa di più per questo mercato, non solo proporre bottiglie, ma racconti, i racconti che stanno dietro l’etichetta. Ne vanno ghiotti.

E non solo per il vino, ma anche per il caffè, l’espresso, altro simbolo del made in Italy. Vino e caffè rappresentano infatti l’alternativa alla loro cultura del tè. Non la sostituiranno, saranno semplicemente un modo intrigante per fare qualcosa di nuovo che sarà indice di uno status ambito. In questo processo, noi dove ci collochiamo?

L’analisi sensoriale a difesa del Made in Italy

L’ultima edizione di Cibus ha intravisto uno spiraglio di luce per la ripresa del prodotto italiano nel mercato soprattutto internazionale, sostenuto dall’aumento dell’export confermato dalle stesse aziende produttrici. Una notizia certamente positiva, ma questo aspetto ha messo in evidenza anche un problema strettamente correlato al successo di un brand come può essere quello del Made in Italy.

Si tratta delle imitazioni che le nostre eccellenze gastronomiche incontrano in giro per il mondo. Certo, un fatto anche lusinghiero a testimonianza di quanto sia alto il valore dato alle nostre produzioni tanto da meritare una massiccia attività di copiatura che molto spesso sfocia in vere e proprie opere di plagio e contraffazione sostenute da politiche di difesa alquanto deboli e latenti, se non addirittura inesistenti.

Tale lusinga, però, ha delle profonde ripercussioni sia sull’immagine della nostra tipicità sia sulla nostra economia. Aspetto, questo, che sottolinea quanto le norme attuate a tutela dei nostri prodotti non siano sufficientemente forti da rappresentare un’arma di difesa per chi produce e uno strumento di garanzia per chi compra.

In Italia ci sono numerose istituzioni che difendono e tutelano i prodotti che rappresentano storia, tradizione e cultura attraverso marchi e disciplinari di produzione. Questi, oggi, non bastano più e sono anche inefficienti per lo sviluppo. Innanzitutto perché assicurano solo il minimo standard che i produttori devono seguire per fregiarsi del marchio e poi perché non sono affatto garanti della vera qualità del prodotto, conseguenza diretta di fattori imprescindibili come la materia prima, le tecniche di produzione e l’onestà intellettuale di chi produce. E poi perché non difendono anche l’immagine del brand che è facilmente imitabile e, a quanto pare, anche poco tutelabile.

Per evitare così la disgregazione del nostro brand e la polverizzazione in termini di promozione e tutela sarebbe opportuno fare fronte comune, difendendosi con un’arma assolutamente efficace: l’analisi sensoriale. Fare fronte comune su questo aspetto, significa dare ai produttori un strumento perfetto per caratterizzare le proprie specificità e nello stesso tempo offrire ai consumatori un metro di giudizio garante della qualità.

Infatti, l’analisi sensoriale permette di descrivere quello che è realmente percepito, quindi di valutare oggettivamente un prodotto e definirne la qualità. Ad avvalorare quanto affermato, anche la serie di interventi che hanno animato il programma del convegno ‘La progettazione del prodotto e l’analisi sensoriale’ tenutosi lo scorso 8 giugno al Tempio Adriano di Roma, organizzato da IASA in collaborazione con Agrinnova, progetto sviluppato dall’Azienda Romana Mercati.

Il dibattito, in cui sono intervenuti personaggi di rilievo del mondo della ricerca, del marketing, della comunicazione e dell’analisi sensoriale, ha fissato dei punti oggi imprescindibili anche per la tutela, valorizzazione e comunicazione del Made in Italy. L’estensione logica dei concetti espressi ribadisce quanto oggi sia fondamentale comunicare il vero e garantire quanto promesso. L’intervento del Prof. Zironi ha sottolineato quanto i rigidi disciplinari e le iper regolamentazioni rischiano di non essere al passo con i tempi e quanto la sicurezza generata dalle denominazioni quale automatico passaggio al successo sia oggi di minor appeal sul consumatore.

L’innovazione in questo ambito non significa tradire la tradizione e in un mondo globalizzato in cui la contaminazione culturale è sempre più evidente evidenzia quali azioni bisogna intraprendere per far percepire la qualità erogata: ed ecco che il marketing narrativo si rivela uno strumento ideale le cui fondamenta sono ancorate all’analisi sensoriale.

Se consideriamo il dato che l’Italia è il Paese con il più elevato numero di prodotti tipici e tradizionali a livello mondiale, si capisce quanto questo patrimonio sia assolutamente da proteggere, ma nello steso tempo è palese quanto questa ricchezza diviene difficile da difendere se ci si affida solo a rigidi regolamenti, difficilmente applicabili in ogni dove. Quindi, se la narrazione del territorio e dei prodotti è l’unico mezzo per comunicare e coinvolgere emozionalmente, come sostenuto dal Prof. Luigi Odello, tale racconto può farsi garante dell’esperienza del consumatore, anche se in capo al mondo.

Difendere il Made in Italy non è solo un fine economico ma pure un dovere culturale a tutela delle tipicità. Per concludere, si ribadisce che in questo modo la qualità può essere di tutti, ma la qualità ha un costo e l’analisi sensoriale, quale strumento di lettura e decodifica di ogni prodotto, può essere il mezzo per l’accettazione di tale onere.

Innovazione nell’analisi sensoriale dalla A alla Z

Il manuale del perfetto sensorialista: spunti, metodi e strumenti per conoscere, applicare e sfruttare al meglio tutte le potenzialità dell’analisi sensoriale

Sul prossimo numero de L’Assaggio – numero 38, estate – scopriamo come applicare la scienza dell’analisi sensoriale al mondo del food and beverage:

  • Nuovi metodi: dalla ruota degli aromi alla mappa sensoriale. Come costruire uno strumento di analisi specifico a un preciso prodotto e a una specifica cultura e come utilizzarlo per test, giochi e presentazioni;
  • Esempi di sale sensoriali per enti e aziende che vogliono finalmente proporre al pubblico un ambiente consono a presentazioni e a test;
  • Gli strumenti dell’analisi sensoriale: il tavolo d’assaggio innovativo e multifunzionale adatto a test, ma anche ad attività divulgative.
  • Panel leader: come può migliorare il rendimento dei giudici rendendoli più sensibili agli stimoli e più coraggiosi nell’esprimerli?

E inoltre…

Analisi sensoriale: si può applicare anche alla TV

No alla noia, sì al coinvolgimento emotivo. Sì alla professionalità e alla qualità delle informazioni fornite dai programmi. E attenzione alla bravura dei conduttori e al gradimento degli ospiti. L’analisi sensoriale ci svela perché alcuni programmi sono preferiti rispetto ad altri.

Vino: Brunello di Montalcino femme fatale o donna energica?

Il nuovo approccio alla descrizione e profilazione del vino Brunello di Montalcino che ha vinto il premio Soldera International Young Researcher’s Award. Semplicità di comunicazione supportata da ricerca scientifica solida e innovativa portano a scoprire i diversi stili sensoriali di questo importante prodotto.

Caffè: il caffè moka è buono ed è certificato

Ogni anno si vendono nel mondo circa 15 milioni di macchine per la preparazione del caffè moka. Circa il 50% di queste sono italiane. Scopriamo le caratteristiche di una tazzina di caffè moka certificato sensorialmente.

Caffè: tutto quello che non si fa per raccontare il caffè

Produttori, crudisti ed esportatori, torrefattori, baristi e scuole: tutto quello che viene fatto e che non viene fatto per raccontare, promuovere e comunicare il grande e affascinante mondo del caffè nel nostro paese.

Acqueviti e liquori: dall’Italia e dal mondo

Lo speciale acqueviti ci porta nel Regno Unito alla scoperta del Gin: storia, processo produttivo, normativa e profilo sensoriale dell’acquavite riportati scientificità e semplicità. E poi un tuffo nel mondo italiano dei distillati assaggiando grappa di Tocai del Friuli Venezia Giulia e nocino di Modena.

Prosciutto istriano: dop è più gustoso?

Ogni anno in Istria si lavorano prosciutti di grande qualità, ottenuti da suini nati e allevati nel territorio e trasformati con metodo artigianale e tradizionale, che prevede lunghi periodi di stagionatura.

Dopo una diatriba durata quasi 14 anni, i produttori croati sono recentemente riusciti a ottenere la denominazione di origine controllata per il prosciutto istriano, uno dei più importanti prodotti tradizionali. Tale riconoscimento giunge in seguito a un lungo lavoro di analisi sensoriale, che ha fotografato il percepito del prodotto in modo scientifico mettendo in evidenza le qualità del prosciutto istriano correlate alla colorazione delle carni e alla loro buona marezzatura, che porta ad avere un prodotto morbido anche se molto stagionato, dolce ma con alta sapidità legata all’elevata proteo lisi e con intensi aromi di spezie e di carne stagionata.

Non solo, oltre ad avere effettuato numerosi test di analisi sensoriale, i croati si sono dotati anche di un sistema sensoriale con tanto di giudici e di panel leader formati dai sensorialisti del Centro Studi Assaggiatori.

Tutto questo nella consapevolezza che la denominazione di origine aiuta a vendere di più o a un prezzo più alto quando certifica una qualità superiore che, in questo caso, è la più premiante per il consumatore, perché si basa sul piacere.

Ed ecco fatto il primo gradino verso un altro obiettivo: ottenere il riconoscimento dell’Unione Europea, un passo dietro l’altro per conquistare mercati ricchi con un prodotto di valore. In Istria sembra che abbiano compreso meglio di noi – che le abbiamo inventate – le indicazioni geografiche, visto che molte volte sono utilizzate per prodotti di scarso peso economico e culturale, quasi la denominazione di origine o l’indicazione geografica fossero un titolo nobiliare e non una possibile potente leva di marketing.

Innovare sì, ma nel modo giusto

Il successo di un prodotto è, nella maggior parte dei casi, decretato dal consumatore, a meno che non si tratti di un concorso o una gara, in cui interviene una giuria composta da giudici più o meno esperti che valutano i campioni. Ma quali sono le caratteristiche che un prodotto deve avere perché il cliente lo scelga e lo acquisti in mezzo a tanta concorrenza? Che cosa piace realmente al consumatore e quali sono i valori che fanno percepire un prodotto di qualità?

Queste sono domande che non può non porsi chiunque abbia a che fare con la creazione di un nuovo prodotto o l’innovazione di uno già esistente sul mercato se l’obiettivo finale è quello di venderlo e di conseguenza guadagnare. Senza considerare poi che nel caso di un rinnovamento è fondamentale tenere ben presente la storia e la tradizione che si celano dietro a quel prodotto. Dunque innovare va bene ma è importante farlo nella direzione giusta, mantenendo le caratteristiche che sono proprie e identificative di un determinato prodotto, aggiungendo plus che diano ancora maggior valore .

Scoprire se un prodotto innovato vale tanto quanto il suo predecessore e quali sono le qualità aggiunte sono alcuni degli obiettivi che si prefigge l’analisi sensoriale compiendo i suoi test. Applicando l’analisi statistica alla misurazione di parametri oggettivi e soggettivi giunge a profilare i prodotti in modo esaustivo partendo dalla valutazione fatta da giudici o da consumatori.

E comunicare in modo adeguato le scoperte fatte è compito di una nuova figura che si sta rivelando sempre più strategica in questo campo: il Narratore del Gusto che, attraverso nuove tecniche basate sull’applicazione dell’analisi sensoriale al marketing e alla comunicazione, ha molte carte in regola per esprimersi in modo nuovo e coinvolgente riuscendo nell’intento.

Il convegno organizzato dall’International Academy of Sensoy Analysis e dall’Azienda Romana Mercati, dal titolo “La progettazione del prodotto e l’analisi sensoriale”, che si svolgerà a Roma venerdì 8 giugno, partirà proprio da questi spunti per offrire interessanti riflessioni sul tema e proporre progetti concreti di innovazione.

Per partecipare al convegno scrivere a posta@romamercati.com

Scarica il programma del convegno.