Un paesino dell’alta Lombardia di quelli giusti, tenuto bene, con gli arredi urbani ben curati. Un bar di quelli giusti, lindo, con un bel bancone di dolci, un’area conversazione ordinata ed attraente. Si respira un’aria quasi salottiera creata (caso ormai raro) da baristi con un innato gusto dell’ospitalità. Mi ci trovo per un’intervista alla televisione di stato spagnola e sto assaporando un espresso eccellente, intenso, profondo, di un’armonia singolare. Veramente un gran caffè. Qualcosa mi disturba… metto a fuoco: una macchinetta che pare il reattore di un aereo. Sta preparando un ginseng per due signore raffinate, tanto che lo ordinano in vetro (perché poi?). Non trattengo la maleducazione da cui sono affetto geneticamente e chiedo: “Come mai avete ordinato un ging seng visto che qui l’espresso è così buono?”. Mi risponde la prima: “Perché non mi agita”. E la seconda: “Credo mi faccia bene”. “Ma le piace?”. “No”, risponde senza neppure pensarci.
Mi faccio dare una busta del preparato dal barista e leggo: "zucchero, sciroppo di glucosio (solido), olio vegetale idrogenato, caff istantaneo (10,5%), proteine del latte, aroma di caff, estratto di ginseng (<1%), emulsionante: mono e di gliceridi degli acidi grassi". Una parentesi: gli errori commessi nel digitare il testo non sono refusi miei, sulla confezione è proprio riportato così.
Ora, qualche riflessione su questo prodotto della Malesia: con un chilogrammo si fanno quasi 70 dosi, il che significa che ogni atto di consumo comporta l’assunzione di quasi 15 grammi di quanto avete letto che, pur non essendo un nutrizionista, non mi pare una botta di salute. Ma, alla faccia della povera signora che non beveva più caffè perché l’agita, la preparazione assicura anche 1,5 grammi di caffè solubile. Il peggio è per quella che non le piaceva, ma pensa faccia bene: il gingseng è inferiore all’uno per cento! Che significa? Che può essere pari a zero?
Mi chiedo: non è il caso che si faccia un po’ di cultura intorno ai benefici salutistici del caffè? E perché non pensare a dare un premio ai baristi che bandiscono dai loro locali i concorrenti indegni dell’espresso? Vogliamo offrire al bar della tisaneria? Perfetto, ma soprattutto i bar di qualità la scelgano tra quella vera, quella che è fatta di erbe e non di simili preparati.

A proposito di analisi sensoriale e percezione, in un precedente commento
Cena con ospiti importanti, il caffè, il diverbio con il cameriere. Sì, perché il caffè arriva in una tazza che reca il marchio di un torrefattore blasonato, uno di quelli che mi avevano colpito proprio per la profondità, la potenza e la perfezione delle miscele assaggiate. Però quello che mi viene servito è tutt’altra cosa: sul liquido è appoggiata una crema che pare una diga dei castori, tanto la tessitura è grossolana e spugnosa. All’olfatto si sente l’umido del bosco, la quercia marcia, la cantina umida. Al gusto – qui si evince il mio livello di masochismo: l’ho anche messo in bocca – l’amaro è sconvolgente, da cloridrato di chinino, e la lingua si fa subito di cuoio tanto è astringente. Mi permetto un reclamo con il cameriere, asserendo che il caffè non è del produttore richiamato dalla tazzina. Segue una discussione, che naturalmente viene conclusa dal cameriere, come molte volte oggi si usa, con una frase lapidaria: se sapeva che non era di (nome del produttore indicato sulle tazzine), perché l’ha ordinato?
La vita amara, l’amaro senso della lontananza, l’amara solitudine, una questione che lascia l’amaro in bocca. Ma non c’è proprio un’accezione in cui l’amaro venga metaforicamente utilizzato in senso positivo? In spagnolo e in portoghese amaro diventa amargo accentuando così anche foneticamente la percezione negativa che provoca. Un’opposizione netta al dolce: i baci, le carezze, le parole affettuose e tante altre cose sono dolci. Ma perché dei quattro sapori l’amaro ha una fama tanto triste da essere relegato più di ogni altro nell’area del pericolo e della tristezza? Il salato è protagonista solo di alcune metafore nagative (un conto salato) e l’acido pure (una risposta acida).
Ogni innovazione reca in sé delle insidie che portano a problemi la cui frequenza di apparizione è direttamente proporzionale all’ingnoranza. Che l’espresso sia stato inventato per avere un caffè fatto di fresco prontamente disponibile ci pare una ipotesi accettabile, ma il suo successo non sarebbe stato così forte se la preparazione non avesse rivelato qualità sensoriali uniche ed eccellenti. Per raggiungere il primo obiettivo (la rapidità) è sufficiente una macchina espresso, e neppure tanto sofisticata. Per raggiungere il resto degli obiettivi un’attrezzatura di qualità, una miscela adatta e un barista che sappia il fatto suo.
Dal 10 al 13 febbraio prossimi siamo di nuovo a
Molto interessante la recente ricerca di
Sull’unica rivista italiana che tratta diffusamente di analisi sensoriale anche servizi sul rapporto tra linguaggio e olfatto, sulle schede usate nei concorsi enologici e sulla nuova comunicazione del vino.