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E’ la coerenza che fa di un descrittore un generatore edonico?

Provate un attimo a pensare al caso in cui vi comprate un dessert alla vaniglia e alla prima cucchiaiata spicca l’acido, pur in un contesto di setosità tattile dovuta alla presenza di grassi e a un dolce decisamente evidente. Istintivamente vi fate l’idea di un prodotto non buono.

Al contrario: vi comprate una di quelle creme di yogurt alla vaniglia arricchite con zucchero, zucchero d’uva, crema di latte e sciroppo di glucosio-fruttosio. Anche in questo caso spicca l’acido, ma lo trovate molto buono.

Perché? Nel caso in questione la parola “yogurt” vi genera l’attesa di un prodotto acido e siete ben felici di trovarvi in presenza di un dolce accentuato e di una buona morbidezza. Fino a questo momento avete mangiato yogurt solo attratti dal nutrirvi in modo dietetico e salutare, con un prodotto del genere (anche se lo yogurt è solo uno degli ingredienti) potete anche concedervi un pizzico di infantile piacere.

Molte volte quando si formula un prodotto non si tiene conto dell’attesa di coerenza che esercita la presentazione sul suo fruitore. In realtà questa gioca un ruolo fondamentale nel decretare il successo sensoriale. Se un carattere è fuori dal nostro schema, immediatamente siamo assaliti dal sospetto e quindi valutiamo meno bene il prodotto in questione.

In poche parole: se vi passa vicino una bella ragazza con un profumo eccellente la sinestesia che si genera potrebbe farvela apprezzare molto di più, ma se passa un elefante con lo stesso profumo dubitiamo fortemente che possiate trovarlo più attraente.

2 commenti

  1. Daniela Di Giovanni

    Le aspettative e le etichette semantiche generano dei limiti alla sensorialità di un prodotto. Positiva o negativa che sia questa affermazione rimane un dato di fatto che forse non puoi cambiare. Come giustamente scrivi nell’articolo, il successo sensoriale di un prodotto dipende dall’attesa di coerenza legata al prodotto stesso. Ma se per assurdo un giorno usassimo molto di più il senso dell’olfatto invece che la vista, l’elefante ci sembrerebbe altrettanto attraente quanto la ragazza. Il punto di “vista” o meglio di “olfatto” è in questo caso cambiato. Quali sarebbero dunque le conseguenze?

  2. Luigi Odello

    Perfettamente d’accordo Daniela. Il problema sta appunto a imparare a usare l’olfatto. Le difficoltà oggettive ci sono, fisiologiche e psicologiche, ma io sono convinto che si potrebbe fare molto di più di quanto non facciamo oggi. Un pianista necessita di una dozzina di anni per prepararsi e ha alle spalle una lunga storia riguardante la sua formazione. Chi ha mai dedicato altrettante risorse allo studio e alla didattica e all’allenamento dell’olfatto?

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