Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Se un buon degustatore di caffè vuoi apparire, un bel risucchio devi esperire

Forse tutto cominciò con una minestra troppo calda: una bella depressione toracica, la bocca semiaperta, il cucchiaio sul bordo del labbro inferiore e … un bel risucchio. Esecrabile secondo i manuali di bon ton, perfettamente normale per chi si vuole dare arie da perfetto degustatore di caffè. C’è persino chi l’ha giustificato scrivendo “Questo risucchio non è segno di maleducazione, ma soltanto il modo migliore per permettere all’ossigeno di sprigionare tutti gli aromi del caffè nebulizzandolo come uno spray.” Commettendo così un altro errore: l’ossigeno non libera gli aromi del caffè e non è il principale costituente dall’aria aspirata, il gas utilizzato per produrre il risucchio. Che il caffè sia troppo caldo? Forse sì, perché altrimenti un buon gargarismo sarebbe molto più efficace anche se parimenti antiestetico. Nel caso del risucchio l’aria viene attratta velocemente nella trachea e ben poca risale la via retronasale che le consente di raggiungere l’epitelio olfattivo, mentre con un bel gargarismo l’effetto fisico sarebbe lampante.
E con questo ci rendiamo conto che un’altra volta stiamo andando controcorrente, perché in migliaia ci diranno che i valutatori che classificano le partite di caffè nei paesi produttori lo fanno.

Allora, pur non potendoci appellare ad alcuna ricerca scientifica in merito (ma mi riprometto di farla), usando l’esperienza maturata con l’età, cerchiamo di capire il risucchio tornando ai primi anni della mia vita da enologo. Lo confesso, anche se il vino si assaggia con il bicchiere e non con un cucchiaio, ho risucchiato anch’io. All’epoca non era raro che in cantina arrivassero torchiati e soprachiari di feccia (non sto a spiegarvi che cosa sono questi ultimi, già dal nome dovrebbe risultare palese) e la valutazione sensoriale aveva come unica finalità di scoprire tipologia e intensità dei difetti per predisporre il trattamento più adeguato e l’aliquota dei tagli. Il tutto con la minore quantità di liquido possibile, ricercando percezioni particolari (uova marce, mercaptani, acidi volatili ecc.) apprese durante il corso di studi. In poche parole, l’assaggio era un mezzo diagnostico tendente a valutare determinati difetti. Non mi sarei – e non mi sono – mai sognato di fare un simile affronto a un vino per valutarne il pregio, anche perché una buona analisi sensoriale deve essere compiuta con le stesse modalità con le quali agirà il fruitore del bene. E per fortuna di persone che approcciano in tal modo un vino non ne ho mai viste, neppure se è da 300 euro a bottiglia. Come non ho mai visto alcuno apprezzare un caffè con il risucchio. Cadatdor e provador, per parlare dei tecnici che operano nelle aziende che trattano caffè verde fanno il risucchio perché, come gli enologi, dovendo classificare il prodotto e superando anche i trecento caffè al giorno, sanno cosa cercare e lo devono fare con pochissimo liquido, pena l’incolumità fisica.

Il risucchio lo fanno anche gli assaggiatori di olio. In questo caso è più plausibile. Pur in carenza di una sperimentazione scientifica possiamo immaginare che essendo la matrice costituita essenzialmente da grassi possa opporsi all’estrazione delle molecole aromatiche e che il risucchio possa consentire lo strippaggio di alcune che risultano indicative di determinate caratteristiche della materia prima e dei processi di produzione. Ma occorre conoscere le molecole e i messaggi di cui sono portatrici.

Luigi Odello