Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Grappa, c’è qualcosa da recuperare

Il sesto congresso internazionale del pisco, il distillato di bandiera peruviano, è terminato. Con annessi e connessi: un concorso nazionale, una serie di sessioni di assaggio, un corso per giudici qualificati di analisi sensoriale, cene di gala, gruppi di lavoro e visite alle distillerie.
Complessivamente ha movimentato oltre seicento persone che sono giunte da tutto il Perù e un gruppo di relatori di cinque diversi paesi, di cui tre europei (Italia, Francia e Spagna).
Non voglio entrare nel tecnico, nè nella cronaca, bensì fare alcune considerazioni in parallelo con il nostro mondo della grappa. Il Perù non è un paese ricco, ma intorno a una bevanda che può mettere in campo solo cinque milioni di litri crea ogni anno un evento eccezionale, dove parte accademica e pratica si intersecano su diversi livelli, cementate da una qualità che forse noi dobbiamo recuperare: la passione. E con questa vengono coivolti anche i politici e le autorità di ogni ordine e grado.
I signori di campagna che fanno fumare l’alambicco – tutti piccoli e discontinui, condotti in modo tecnicamente discutibile – intorno al vino di una manciata di varietà di uve per buona parte aromatiche, hanno fatto migliaia di chilometri per venire a Ica dove sono ancora evidenti i segni del terremoto di agosto. Nessuno si è dimenticato le bottiglie del suo pisco a casa. Le degustazioni si sono sviluppate ben al di fuori di quelle programmate. Migliaia di campioni sono stati oggetto di confronto tra i produttori e tra i produttori e i tecnici, i relatori, i politici. Ogni produttore viveva nel dualismo creato dall’orgoglio da una parte e dalla modestia e la voglia di fare meglio dall’altra.
Il tutto mi ha riportato alla mente la grappa di un quarto di secolo fa e tanti amici, alcuni dei quali non ci sono più, che arrivavano ai convegni con le bottiglie di grappa. Tuonava dal pulpito il vescovo di Udine, arringavano produttori e autorità nelle sale dei convegni, le bottiglie di vetro soffiato erano appena nate per dire che la grappa era preziosa. Oggi non riusciamo più a creare gli eventi di allora, tantomeno un evento simile a quello che si organizza per il pisco. L’orgoglio non compete più con la modestia, non si cerca più il consenso fatto di piccoli atti ripetuti tutti i giorni e in ogni occasione, quanto piuttosto una guerra popolata di strategie di marketing più o meno complesse e più o meno comprese nella giusta accezione. C’è forse qualcosa d’antico da recuperare.

4 commenti

  1. ECCEZZIONALE!
    un’articolo i cui contenuti condivido pienamente!
    Chissà perchè, vista la mia giovane età, ma questo è proprio il modo in cui intendo la GRAPPA…
    Sarò l’unica?…
    W l’umiltà in tutto e per tutto!
    Sono pronta ad approfondire questi miei pensieri

  2. PAOLA

    bene!
    Mi trovo perfettamente d’accordo su quanto scritto.
    Io sono la Presidente di una Associazione Culturale di Santa Massenza in Trentino, paese dove fino negli anni 80 c’erano 12 distillerie artigiane, concentrazione davvero unica tanto da azzardare a titolarla “ Santa Massenza, la capitale della grappa” ( unica nel panorama Italiano ) realtà storica così importante,storia INIZIATA nel 1500 l’arte di “lambicar”,che prosegue fino ai giorni nostri con 5 distillerie artigiane attive. La storia, la tradizione che emerge da questo posto è davvero unica, chi la scopre rimane veramente affascinato.
    Ebbene, nonostante questo bagaglio storico e questi monumenti, (alambicchi intatti nella loro sede e quindi visitabili, in ognuno di loro la storia di chi ha lavorato per anni al fuoco dell’alambicco) stentiamo a far conoscere questa nostra irripetibile specificità…come mai?
    Forse alle strategie di mercato, al marketing e a tutte le diavolerie sofisticate non interessa vedere e valorizzare prima di tutto la semplicità e l’autenticità di un posto come questo?

    Paola

  3. Sono completamente d’accordo sulle osservazioni.
    Penso però che la giusta critica sia da rivolgere più alle grosse realtà che vogliono imporre a tutti i costi il loro pensiero come giusto servendosi di esuberanti mezzi di comunicazione. In sostanza costoro sostengono ” grappa buona = grappa come la faccio io ( che sottintende grappa buona è solo la mia)”. Questo fa perdere di entusiasmo a chi sostiene senza troppi mezzi, ma con grande passione: “grappa buona= quella che piace” e si impegna a farla il meglio possibile.

  4. Slavko Rodic

    Ho cominciato produre grapa da melacotognia,pera emela poca quntita ma buona cualita,io cerco aiuto per ricete per vostre grape italiane e cerco botigle per che da mio paese nonce fabrica perche e ciusa.Forse voi avete tel.o sito fabrica per botiglie.
    distinti saluti e scusate per mia malisima lingua italiana

    Slavko Rodic

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