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Il bello e il brutto della memoria sensoriale

Abbiamo uno stramaledetto vizio: quando valutiamo o descriviamo un’esperienza andiamo per comparazione. Anche quando ci lasciamo andare in una semplice affermazione del tipo “bello” o “brutto” la nostra mente corre immancabilmente a ciò che ha provato in passato, cerca insomma di inserire nel proprio spazio campionario la nuova serie di stimoli e le relative emozioni.

Tutti possediamo una memoria sensoriale, nessuno escluso. Certe forme di questa memoria sono antiche, tanto che il ricordo si recupera solo per analogia, quando riceviamo uno stimolo simile. Altre possono essere decisamente recenti e a breve termine: saranno abbandonate appena cesserà la loro utilità.

In analisi sensoriale la memoria a breve termine si utilizza molto per tarare il gruppo:  quando si raccolgono le valutazioni e si calcola la mediana i giudici hanno ancora un ricordo molto vivo del prodotto appena assaggiato e, se motivati, possono facilmente acquisire i dati emersi e connetterli all’esperienza vissuta.

Purtroppo la memoria sensoriale è ben presente anche durante il test, per cui un campione assaggiato per primo condiziona la percezione di quello che segue, il quale a sua volta condiziona il successivo e così via. Non c’è assaggiatore che sfugga a questo meccanismo, per quanto sia stato edotto del problema che va sotto il nome di “effetto alone”.

I panel leader lo conoscono molto bene e possono approfittarne: mettendo i campioni in una certa successione possono ottenere un certo profilo anziché un altro, possono in pratica confermare l’ipotesi voluta con maggiore facilità. Ecco perché si dice che l’onestà intellettuale del panel leader è una caratteristica imprescindibile dalla posizione. Quando fattibile non si dà però questa possibilità al panel leader, imponendo per esempio un piano di assaggio ruotato o randomizzato.

L’effetto alone si fa particolarmente sentire nei concorsi enologici dove, di prassi, i campioni sono serviti a tutti i commissari nello stesso ordine. Questa è una delle ansie maggiori per chi vuole garantire ai produttori equità di giudizio e uno dei motivi di disagio quando si vede, per esempio, che un campione si guadagna la medaglia in una commissione e nell’altra no.

Insomma, noi umani siamo davvero dei fenomeni, e chi si occupa di analisi sensoriale non può fare a meno di tenerne conto.