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Il vino e il Coronavirus

I maggiori Paesi viticoli sono attraversati dal fenomeno coronavirus e il vino sta soffrendo una grave crisi nei consumi e nell’esportazione. Circolano voci, non suffragate da prove scientifiche, secondo le quali anche il vino potrebbe essere un veicolo di contagio.
Al contrario ricordo che vi sono numerose dimostrazioni storiche dell’uso del vino come antisettico in differenti pandemie internazionali. Londra per tre secoli ha bevuto molto Claret (ancora sinonimo di Bordeaux in Inghilterra) perché non aveva acqua potabile sana.
Il Cardinale Alberoni (1664-1752) nel suo testamento ha lasciato scritto che ogni membro del Collegio (seminario) di Piacenza aveva diritto a 7 litri di vino al giorno, al fine di sostituirlo con l’acqua biologicamente inquinata.
Louis Pasteur (1882-1895), ritenuto il fondatore della microbiologia moderna, aveva definito il vino come la più sana e igienica delle bevande. Papa Paolo III Farnese (1534-1549) si lavava ogni mattina con un vino che avesse almeno 8 anni di invecchiamento, come scrive il suo bottigliere Sante Lancerio nel libro I vini d’Italia giudicati da Paolo III Farnese (1559).

Diverse popolazioni si sono salvate dalle epidemie sostituendo l’acqua infetta con il vino. Sarebbe pertanto opportuno chiedere ai virologi specializzati la dimostrazione scientifica della incapacità del coronavirus di vivere nel vino, dato che contiene, oltre all’alcol, numerosi polifenoli che hanno un’azione antivirale e rafforzano le resistenze del corpo umano. Quanto sopra non sopprime, ovviamente, il consiglio del consumo moderato del vino.

(da La Libertá di Piacenza del 09/03/2020)

Mario Fregoni
Già ordinario di Viticoltura all’Università Cattolica-Piacenza
Presidente onorario Iasa