Cosa c’è di più piacevole che passeggiare conversando spensieratamente con gli amici fra le deliziose stradine e le incantevoli piazze di un bel centro storico in una fresco tramonto di mezza estate? Certamente il poterlo fare con un bel bicchiere di vino in mano, magari con la possibilità di sorseggiarne di diverse tipologie e aziende, discutendone il carattere, la personalità, l’espressività, l’anima con amici appassionati e produttori competenti.
Detto fatto! 10 agosto, Calici di Stelle, Sondrio, e quindi Nebbiolo Valtellina. Diciamocelo chiaramente: fra i meno piacevoli (sparando nel mucchio) fra i vini italiani, se piacevolezza viene intesa come immediatezza, facilità, ovvietà, concentrazione, fruttuosità. Se poi alcuni dei rappresentanti, siano essi Rossi di Valtellina, Valtellina Superiori o Sfursat, si offrono con più o meno marcati sentori di vernice, di tintura, di cera, di brodo o persino di stalla, note indubbiamente da biasimare in quanto dovute principalmente a imperizia tecnica, un amore profano per questi prodotti diventa difficile.
Ma se si riesce a superare la frenesia del “tutto e subito”, se invece di limitarsi a sentire ci si ferma ad ascoltare, se alla superficie si preferisce la profondità o, meglio ancora, l’altezza, se più che la barzelletta amiamo il racconto, ecco che molti di questi vini qualcosa di emozionante da regalare ce l’hanno. Colore crepuscolare, profumi sottili e aerei di erbe aromatiche, anice, spezie, carne, frutta secca o macerata, un corpo nervoso, tagliente, fresco, minerale, che abbraccia non avvolgendoti ma (a)stringendoti, un carattere apparentemente scontroso e indecifrabile ma che poi si apre leggero, agile, mutevole, trasfigurato, molteplice. Ottimo esempio, questo, del vino mai scontato, mai banale, al limite imperfetto (per i canoni qualitativi odierni).
Ma quando è così, viva l’imperfezione!