Sensory News

Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Diventare assaggiatore di carne

Bianco nella carne: ma poi sarà dura o sarà morbida? È un quesito che mette in crisi anche molti specialisti. Perché, a uno sguardo superficiale, le parti bianche nella fettina che compriamo possono sembrare tutte uguali: solo quando è cotta finiamo per scoprire a nostre spese se è tenera o dura come una suola, ovvero se il bianco in questione era grasso, in grado di mantenere nella carne grigliata morbidezza e umidità e conferirle aroma, oppure tessuto connettivo interfibrale, dalla consistenza simile al chewingum, che può diventare gelatinoso solo con cotture molto lunghe.

La necessità di diffondere la cultura della qualità sensoriale della carne tra i consumatori e gli operatori (allevatori, macellai, chef) si sente da tempo. Da quest’anno sono finalmente aperti al pubblico dei corsi specifici per imparare a distinguere, attraverso il metodo scientifico dell’analisi sensoriale, le caratteristiche della carne che determinano la piacevolezza.

Il metodo è stato messo a punto da De Gustibus Carnis, l’Istituto Italiano Assaggiatori Carne fondato da professionisti del settore, con il supporto scientifico del Centro Studi Assaggiatori. Un anno di lavori è occorso alla giovane associazione per ricavare dati sulle caratteristiche che si presentano nella carne, per ricollegare gli aspetti visivi e olfattivi del prodotto crudo a quelli gustativi, tattili e aromatici del cotto, correlandoli inoltre ai dati chimici, nutrizionali e alle fasi della filiera in cui vengono determinati.

Ora questo metodo, già messo a punto sulla carne bovina e in via di definizione sulle altre tipologie, è a disposizione di chiunque voglia diventare assaggiatore di carne, per lavoro, passione o semplice desiderio di informazione: il primo corso per Giudici Qualificati di analisi sensoriale della carne si svolgerà a Bardolino (VR) il 17 e 18 febbraio. Per informazioni e iscrizioni degustibuscarnis@gmail.comwww.degustibuscarnis.it

Pensione a 70 anni per gli assaggiatori e i giudici di analisi sensoriale

Così potrebbe titolare un divulgatore distratto dopo aver letto un bell’intervento di John Prescott sulla decadenza dell’olfatto dopo i 70 anni. Gli elementi ci sono tutti: l’autorità dello scrittore (Prescott è co-editor di Food Quality & Preference), un argomento che mette ansia e la possibilità di fare notizia.

Potremmo però vedere la cosa al contrario, perché fonti bibliografiche di un tempo riportavano notizie ancora più tragiche sulla decadenza dell’imperatore dei sensi: sessantacinque, sessanta e persino cinquant’anni. Dipende un po’ dall’angolo di osservazione: c’è chi conta la riduzione dei recettori e chi vede l’appannamento intellettivo.

In realtà l’articolo di Prescott è ineccepibile e fa una lunga disamina del fenomeno trattando dell’allungamento della vita, dell’ambiente in cui uno vive, delle abitudini, delle patologie e della motivazione. Dà persino un contentino alle donne, confermando che non solo sono in genere più brave, ma che vivendo più a lungo rispetto al sesso forte, in loro il decadimento dell’olfatto comincia più tardi.

Anche noi, attraverso l’esperienza ventennale nella conduzione di panel, abbiamo una buona parola da dire: man mano che si procede con l’età la differenza tra individuo e individuo si fa sempre più grande. Basti pensare che il miglior giudice del gruppo di valutazione del Centro Studi Assaggiatori è stato tale fino all’età di 80 anni e che oggi nel panel siedono membri affidabilissimi che i settanta li hanno superati da un pezzo. Quindi non generalizziamo: se c’è chi continua a percepire bene possiamo essere legittimati a coltivare la speranza di essere tra questi. Ma andiamo oltre: come fare? Con l’allenamento. Noi siamo convinti che gli anziani possano sopperire con l’esperienza alla riduzione dei sensori, ricavando come utilità non marginale il fatto di vivere meglio. È infatti noto come un olfatto attivo ci renda più sicuri e sereni. La molla, verso questa direzione, è la motivazione, che sicuramente trova la sua fonte propulsiva nella curiosità, nel desiderare di percepire per avere una migliore coscienza di quanto ci circonda.

Un consiglio quindi: cercate il piacere olfattivo per avere una vita migliore.

Il bello e il brutto della memoria sensoriale

Abbiamo uno stramaledetto vizio: quando valutiamo o descriviamo un’esperienza andiamo per comparazione. Anche quando ci lasciamo andare in una semplice affermazione del tipo “bello” o “brutto” la nostra mente corre immancabilmente a ciò che ha provato in passato, cerca insomma di inserire nel proprio spazio campionario la nuova serie di stimoli e le relative emozioni.

Tutti possediamo una memoria sensoriale, nessuno escluso. Certe forme di questa memoria sono antiche, tanto che il ricordo si recupera solo per analogia, quando riceviamo uno stimolo simile. Altre possono essere decisamente recenti e a breve termine: saranno abbandonate appena cesserà la loro utilità.

In analisi sensoriale la memoria a breve termine si utilizza molto per tarare il gruppo:  quando si raccolgono le valutazioni e si calcola la mediana i giudici hanno ancora un ricordo molto vivo del prodotto appena assaggiato e, se motivati, possono facilmente acquisire i dati emersi e connetterli all’esperienza vissuta.

Purtroppo la memoria sensoriale è ben presente anche durante il test, per cui un campione assaggiato per primo condiziona la percezione di quello che segue, il quale a sua volta condiziona il successivo e così via. Non c’è assaggiatore che sfugga a questo meccanismo, per quanto sia stato edotto del problema che va sotto il nome di “effetto alone”.

I panel leader lo conoscono molto bene e possono approfittarne: mettendo i campioni in una certa successione possono ottenere un certo profilo anziché un altro, possono in pratica confermare l’ipotesi voluta con maggiore facilità. Ecco perché si dice che l’onestà intellettuale del panel leader è una caratteristica imprescindibile dalla posizione. Quando fattibile non si dà però questa possibilità al panel leader, imponendo per esempio un piano di assaggio ruotato o randomizzato.

L’effetto alone si fa particolarmente sentire nei concorsi enologici dove, di prassi, i campioni sono serviti a tutti i commissari nello stesso ordine. Questa è una delle ansie maggiori per chi vuole garantire ai produttori equità di giudizio e uno dei motivi di disagio quando si vede, per esempio, che un campione si guadagna la medaglia in una commissione e nell’altra no.

Insomma, noi umani siamo davvero dei fenomeni, e chi si occupa di analisi sensoriale non può fare a meno di tenerne conto.

Li conoscete e sapete identificare i nuovi difetti dei vini?

Lo ammetto, sto rimpiangendo i tempi in cui i difetti dei vini erano decisi: lo spunto era spunto, quasi aceto; l’ossidato era ossidato, si poteva anche dire marsalato; il filante era raro, ma esisteva, e non si avevano difficoltà a riconoscerlo, perché il vino sembrava olio; l’amarore non lasciava dubbi, era come bere un caffè senza lo zucchero.

Oggi non è più così, non ci sono più le sane malattie di una volta. I difetti presenti fanno discutere, fanno i politici: sarà cavallo sudato di razza o sarà imbastardito con la muffa? È un eccesso di etanale o una nota evolutiva progettata dall’enologo come ha detto il dotto sommelier nell’ultima degustazione? È una malolattica sbagliata o una pregevole nota di burro indotta con un pizzico di acido citrico in fermentazione?

Quando giro tra i banchi dei commissari nei concorsi enologici mi capita più volte di essere interpellato da un presidente per chiedermi se una stramaledetta percezione negativa è tappo o un difetto derivato dal legno. Non è sempre facile rispondere. Non lo nego: a volte mi mettono un po’ a disagio. Ma ho trovato un paio di occasioni che mi hanno rincuorato.

La prima è stata una bellissima esperienza con un’ottantina di sommelier, proprio un corso sui difetti: un vino non molto caratterizzato – ma non neutro – veniva via via aggiunto di analiti produttori di difetti attribuibili a una fase della filiera, ogni partecipante descriveva il difetto e poi si spiegava a quale molecola era attribuibile e a cosa era dovuta. Bene: le percentuali di identificazione (pubblicate tra l’altro su una serie di numeri de L’Assaggio) sono state bassissime.  Ma durante una cena che concludeva alla grande una bella manifestazione enologica ho avuto una soddisfazione ben maggiore. Erano presenti Alain Bertrand (professore emerito all’Università di Bordeaux, un luminare nel campo della chimica del vino e delle acqueviti) e Roberto Zironi, professore, non ancora emerito, all’Università di Udine, uno degli enologi accademici italiani più famosi tanto in patria quanto all’estero. A entrambi, separatamente, feci sentire un vino che difettato era di certo, ma la cui malformazione non riuscivo e identificare. Mi diedero due risposte diverse, e io rimasi con la terza da me ipotizzata, ma ancor meno sicuro che fosse giusta.

Questo per dirvi che i nuovi difetti dei vini non sono cosa facile. Ma non è certo un buon motivo per demordere: occorre semplicemente studiare nel modo giusto, con tecniche adeguate. Noi crediamo molto nel corso dove le sostanze che danno l’anomalia vengono aggiunte al vino in quantità maggiorate, sono fatte percepire e poi spiegate. Voi cosa ne pensate?

Un passo in più: diventare panel leader

Il primo passo è diventare un giudice di analisi sensoriale.

Un giudice di analisi sensoriale impara a utilizzare i propri sensi e a compiere test ad alta utilità informativa in circa 16 ore di lezione in aula, attraverso l’apprendimento di nozioni teoriche ed esercitazioni pratiche mirate a sviluppare la percezione e la capacità di giudizio. Ma per migliorare e aumentare le abilità percettive, andando oltre i propri limiti, serve molto di più: curiosità e voglia di scoprire nuovi aromi, memoria olfattiva e retrolfattiva, un ampio vocabolario semantico per descrivere le sensazioni…

A tutti coloro che intraprendere questo percorso formativo, viene offerta la possibilità di farlo frequentando il corso per giudice qualificato del Centro Studi Assaggiatori in programma i giorni 21 e 22 gennaio (per maggiori informazioni scarica la locandina).

Ma facciamo un passo in più.

Perché infatti rimanere un giudice quando si può avere l’opportunità di pianificare i test e orchestrare i panel di assaggiatori in prima persona? Di elaborare i dati ed essere in grado di leggere i risultati statistici in base agli obiettivi proposti col test? In 40 ore di formazione si possono acquisire competenze tali da permettere a professionisti e aspiranti, di essere veri protagonisti dell’analisi sensoriale.

A chi è già giudice qualificato, o lo diventerà nelle giornate del 21 e 22 gennaio, e vuole compiere questo passo formativo in più, dunque, non resta che partecipare dal 23 al 25 gennaio al corso di specializzazione per panel leader di analisi sensoriale (scarica la locandina).

Le esercitazioni pratiche proposte, mirano a sviluppare la manualità nella preparazione dei test e nella stesura dei piani di assaggio, a far esercitare i leader nella conduzione del gruppo di valutazione, a elaborare i dati interpretandoli correttamente, a emettere dei report. Le conoscenze acquisite sono spendibili dai tecnologi, non solo nelle certificazioni di qualità ma anche nel campo della ricerca e dello sviluppo, nella produzione, e dal personale del marketing nelle indagini sul consumatore e nella comunicazione del prodotto.

La foto sulla bottiglia: una nuova frontiera per il marketing enologico

Sareste scandalizzati se vi dicessimo che vini con la stessa denominazione sono diversi tra loro più di quanto non differiscano da altri a indicazione geografica prodotti a un migliaio di chilometri di distanza? E che pur ricorrendo ad analisi sensoriale ad alta utilità informativa condotta con giudici esperti due Chianti classico, due Primitivi del Salento, un Valpolicella classico superiore ripasso, un Rosso Rubicone e un Rosso Conero non sono sensorialmente distinguibili, mentre due Chianti sono completamente diversi tra loro?

Nel mese di dicembre, a Brescia, hanno conseguito la laurea magistrale in management (Dipartimento di Economia e Management) Elisa Giordano e Irma Duccoli presentando due tesi (relatore Eugenio Brentari, correlatore lo scrivente) imperniate sull’analisi statistica dei dati sensoriali di oltre 2.400 vini italiani a indicazione geografica. Con l’aiuto e l’assistenza di Manuela Violoni l’enorme matrice contenente quasi 50.000 dati è stata trattata statisticamente anche con nuove metodologie esplorative per giungere inequivocabilmente al risultato che abbiamo indicato con la prima domanda.

Ora ci stiamo ponendo un problema: se andate dal verduriere e ordinate delle carote sareste un poco contrariati se vi trovaste nella borsa della spesa delle patate, anche se queste fossero fantastiche. La stessa cosa può succedere a chi approccia una bottiglia al supermercato di un vino che pensa di conoscere bene, data la denominazione di cui si fregia. Lo sceglie in funzione delle caratteristiche sensoriali attese, pensando a quando, con chi e con che cosa consumerà quel vino.

La cosa migliore sarebbe che a una determinata denominazione corrispondessero vini analoghi, pur lasciando un certo margine di oscillazione sensoriale per l’annata e per evitare l’omologazione troppo spinta dei prodotti di una determinata zona. Ma questo non avverrà: se da una parte la creatività degli enologi unita al miglioramento della tecnologia consente di cambiare il volto al vino in cantina, dall’altra l’esigenza dei produttori di distinguersi e, non di rado, di seguire le mode, è molto potente.

L’unica soluzione che vediamo in questo momento è un’etichetta più esaustiva in cui il vino non venga descritto in modo generico – per quanto poetico e accattivante – ma con una precisione tale da consentire al cliente di sceglierlo a ragion veduta. Ma è un evento che pare ancora lontano: le cantine attualmente non dispongono di uno strumento adatto a compiere una simile descrizione.

Cuochi e pasticceri: i primi della classe in analisi sensoriale

Nella nostra storia abbiamo avuto il piacere di lavorare molto in analisi sensoriale con cuochi e pasticceri. Le prime esperienze sono state fatte con l’Accademia Italiana dei Maestri Pasticceri, allora presieduta da Iginio Massari che dell’analisi sensoriale è sempre stato uno strenuo fautore. Bravissimi, ma pensavamo che i risultati fossero propri di quel gruppo, fortemente motivato.

Poi è nata Alma, la scuola internazionale di cucina italiana e fin dalla nascita abbiamo avuto il gradito incarico delle docenze di analisi sensoriale. In quasi dieci anni abbiamo avuto sottomano migliaia di studenti di diversi continenti. Una favola. Ma la nostra esperienza non finisce qui: abbiamo fatto corsi di analisi sensoriale da Peck a Milano e da Gualtiero Marchesi a Erbusco. Stessi risultati: cuochi e pasticceri non solo hanno una capacità discriminante fuori dal comune che deriva da una sensibilità superiore alla media, ma anche una capacità descrittiva notevole, limitata solo in alcuni casi dal lessico di cui dispongono. Insomma, hanno una soglia di percezione straordinariamente bassa, quindi colgono note a livelli non percepibili da altri.

Sul perché di questa caratteristica che li accomuna stiamo indagando, ma sin d’ora si possono formulare alcune ipotesi. La prima, quella che ci pare più importante, è che entrambi i gruppi hanno un allenamento continuo e costante fatto su un elevato numero di elementi naturali, quindi autentici. Provate a pensare quanti sono gli ingredienti che devono utilizzare i cuochi e i pasticceri e pensate che devono valutarli tutti e poi valutare l’elaborato finale.

Un altro fattore importante potrebbe essere la naturale tendenza a creare. Il che significa pensare continuamente a come mettere insieme elementi in modo diverso per ottenere qualcosa di nuovo. Questa tendenza alla scoperta e all’esplorazione porta quasi sicuramente alla modifica del loro schema mentale. Per giungere alla “creazione” devono infatti assaggiare gli ingredienti, poi sottoporli a elaborazione e quindi riassaggiarli, generare unioni e assaggiare ancora. Ogni volta emettono un silente giudizio monocratico che però sorge da un impegno e un’esperienza non comuni.

Magari sottoposti ai test previsti dalle norme Iso potrebbero risultare dei disastri, ma noi abbiamo la prova statistica che sono davvero bravi.

Guida alle guide del 2013: consigli utili per il nuovo anno

Molte sono le guide, molti sono gli stili: come si può scegliere una guida di settore? Basta fidarsi del marchio? Ogni anno, sugli scaffali delle librerie o tra i comunicati delle agenzie di comunicazione, vengono disposte e presentate numerose guide volte a dare consigli, indicazioni, dati, premi e giudizi su tutto ciò che è legato al mondo del buon bere, del buon mangiare e del lieto intrattenimento. Diversi sono gli stili con cui questi temi vengono affrontati e proposti ai lettori.

Ma come è possibile orientarsi all’interno di tale offerta, di tanti riconoscimenti, informazioni e modi di raccontare? Dipende da cosa stiamo cercando, dai nostri bisogni e dal tipo di lettore che siamo: un goloso e godereccio girovago del gusto? Un viaggiatore per lavoro e necessità ben felice di poter trovare pausa e ristoro in luoghi dignitosi e accoglienti, senza incappare in cattive sorprese? Sono forse un consumatore domestico che vuole avere un aiuto nella scelta dei prodotti nell’uso quotidiano? Sono invece un ristoratore alla scoperta di novità o dei migliori prodotti dell’anno? O forse professionista del settore che vuole capire come si muovono il mercato, le forze del momento e le prospettive degli opinion leader?

A ogni assaggiatore la sua guida! Iniziamo così un piccolo excursus tra le proposte del 2013.

Quale vino metto in tavola?

Per aiutare il consumatore che vuole sorseggiare vino in modo attento giorno dopo giorno o desidera un aiuto per trovare un buon dono c’è la Guida Vini di Altroconsumo il cui motto è bere bene al giusto prezzo è possibile. Razionalità, scienza, attenzione, garanzia e trasparenza. Oltre 300 vini nazionali dal costo inferiore ai 15 euro, individuati attraverso un particolare algoritmo tra i più venduti nei supermercati e nelle enoteche, sono stati valutati attraverso test di analisi sensoriale sviluppati e gestiti dal Centro Studi Assaggiatori, che ne hanno determinato gli indici di piacevolezza e di qualità, misurati su precisi parametri quantitativi, riportando per tutti i prodotti il punteggio ottenuto.

Conoscere il 2013 del vino

Per chi vuole avere un’idea dettagliata del panorama del vino italiano nella sua lenta e costante trasformazione vi è la Guida Oro – I Vini di Veronelli. Cantine e produzione di oltre 1.860 aziende descritte nella loro totalità si presentano come una sorta di indagine che lascia emergere i tratti del mercato enologico: le aziende razionalizzano la produzione aumentando il quantitativo di bottiglie più economiche destinate a Italia ed Europa, solo le più prestigiose vanno all’estero (Usa, Giappone e Bric). Generico miglioramento con in testa Piemonte e Toscana.

Voglio solo autoctoni

Se si cerca la tradizione italiana alla portata di tutti la si può trovare in Vinibuoni d’Italia di Touring Editore, guida che premia l’enologia italiana, la valorizzazione delle radici locali, il territorio e la tipicità di vitigni autoctoni in Italia, Istria croata e Primorska Slovenia. Giunta al decimo anno di pubblicazione ricorda come, quando nacque, in un mondo enologico votato all’internazionalizzazione vitigni, i curatori di questa guida decisero di muoversi controcorrente parlando di prodotti che raccontano il territorio senza rinunciare a finezza ed eleganza. Un brindisi speciale con la sezione dedicata agli spumanti metodo classico a cura dell’Onav.

Il gastronauta

C’è poi chi come il gastronauta Davide Paolini non esprime voti e non fa classifiche nella sua Guida ai ristoranti de Il sole 24 ore ma racconta semplicemente i ristoranti come esperienze di gusto e di atmosfera, ponendo attenzione alla scelta di prodotti di qualità e alla cura del cliente. L’obiettivo è dare poche informazioni, ma essenziali, di locali di tutti i tipi ritenuti meritevoli di citazione. Oltre 1.000 citazioni di posti classificati per emozione, come gli a me mi piace (in cui ci si sente a proprio agio) o i carramba che sorpesa (preziose scoperte). Oppure vi sono categorie determinate dalle caratteristiche di marketing come i dietro al banco (che da botteghe di qualità si sono trasformati in cucine con bottega, ora emergenti), gli extralarge (con centinaia di coperti) o le locande (con ospitalità alberghiera). Le famiglie geografiche coi piedi nell’acqua, vicino alla stazione, le più classiche categorie degli intoccabili, fenomeni alla ribalta e vai sul sicuro (rapporto qualità prezzo).

Il vitivinicultore  

Per i vitivinicultori storica è Vitenda: guida, agenda, monografia, sussidiario del vitivinicoltore. Esplicitamente dedicata a questi lettori gioca da sempre tra l’informare e il rendersi un vero e proprio strumento di lavoro. Utilità prima di tutto: siti, bibliografia, notizie, vitigni, vigneti, note di tecnica viticola enologica, calendari e tabelle per chi coltiva con passione e tecnica. L’obiettivo è aiutare a ricordare e raccontare le piccole parti di vita (lavorativa e non) quotidiana di cui si compongono in fine i nostri successi, vicissitudini ed esistenza. Così il 2013 è l’anno dedicato all’arte e a quei grappoli d’uva che fin da bambini si ama disegnare e ai disegni che a loro volta creano le viti nel paesaggio. Per aiutarvi a ricordare o raccontare quel pezzetto di esistenza lavorativa e non, nella quale vi accompagna giornalmente.

Amo viaggiare

La guida dettagliata dei servizi per il turista. In Alberghi e ristoranti di Touring Editore sicuramente è possibile trovare risposte per tutti i tipi di esigenze, con particolare attenzione ad alberghi e ristoranti che coniugano alta qualità e buon prezzo (la cosiddetta qualità accessibile): indirizzi classici e nuove tendenze proposte in Italia. Regione per regione, città per città una squadra di recensori ha offerto la sua opera per consegnare informazioni su oltre 5.800 siti.

 

Robert Parker: ma l’indipendenza basta per assicurare l’affidabilità di giudizio?

Leggiamo (http://divini.corriere.it/2012/12/10/limperatore-del-vino-rottama-la-carta-e-accetta-la-pubblicita/) che Robert Parker, nell’ambito di un’ampia ristrutturazione del suo gruppo e delle sue attività, accetterà la pubblicità sul suo sito, purché non riguardi il vino, per mantenere intatta l’indipendenza di giudizio.

Noi siamo convinti che non esista a questo mondo l’indipendenza di giudizio, però apprezziamo non poco questa tendenza filosofica del noto critico, a fronte delle distorsioni del mercato prodotte da molti che fanno della loro presenza sui media un centro economico, di immagine e di potere.

Ma basta l’indipendenza di giudizio per garantire al consumatore l’affidabilità di giudizio? Io sono enologo, quindi il vino l’ho studiato, ho superato i sessanta operando sempre nel settore, e quindi posso vantare una certa esperienza. Eppure lo stesso vino mi cambia nel bicchiere a seconda dell’umore, del sorriso di chi ho di fronte, dell’orario in cui lo assaggio. Ve lo dico francamente: di me stesso non mi fido. Potrei fidarmi se assaggiando lo stesso vino con altre migliaia di persone notassi che il mio giudizio corrisponde sempre al loro. Succede esattamente il contrario. Se non avessi cominciato a occuparmi di analisi sensoriale e a vedere, in qualità di responsabile, decine di concorsi e analizzato i dati di migliaia di vini sottoposti a più persone potrei essere molto demoralizzato e potrei pensare di essere io quello sbagliato. Invece noto che anche il più bravo assaggiatore dà giudizi diversi assaggiando lo stesso campione a pochi minuti di distanza.

Ma Parker e colleghi non hanno mai fatto di queste esperienze, si ergono a giudici monocratici e consacrano altri giudici monocratici senza mai essersi sottoposti a una verifica. Forse perché sanno che potrebbe essere una tragedia. Anni fa il Centro Studi Assaggiatori lanciò una sfida: si sarebbe offerto gratuitamente di valutare le capacità dei critici secondo le regole scientifiche dell’analisi sensoriale. Il guanto non è stato raccolto. Né lo sarà mai.

L’accordo sensoriale

Prendete un gruppo eterogeneo di 12 persone e un Cesanese del Piglio, nobile vino rosso del Lazio. Se lo fate valutare con scheda a scala discreta 0-9 potreste trovarvi con la seguente distribuzione di valori: saturazione colore 1-8, riflessi viola 0-7, riflessi arancio 1-7, percezione alcolica 4-7; acidità 2-9; astringenza 2-8; struttura 3-7; percezione sferica 3-7; floreale 0-6; fruttato 0-7; vegetale 0-6; speziato 1-7; odori anomali 0-8. Il caso è reale: come potrebbe essere interpretato?

Se rivolgessimo questa domanda a un chimico potrebbe sentirsi gratificato dalla riprova della superiorità dell’analisi strumentale su quella sensoriale: i suoi apparecchi, una volta tarati, non deviano oltre il 5% per il parametro considerato. Se fosse il sommelier a dover rispondere non perderebbe l’occasione per dire che purtroppo la gente di vino non capisce niente e dovrebbe frequentare corsi di degustazione dove si insegna a riconoscere la qualità. Un sensorialista per contro sarebbe molto preoccupato, perché ovviamente una simile distribuzione pregiudicherebbe l’attendibilità del test.

E se fosse un Narratore del gusto? Probabilmente sarebbe felicissimo perché il gruppo gli avrebbe fornito un materiale estremamente prezioso per condurre l’attenzione sul vino assaggiato attraverso il gioco, fino a farlo diventare il vino di ogni partecipante. Pensateci un momento: potrebbe mettere un premio per chi si è avvicinato di più alla mediana, o potrebbe fare intervenire, descrittore per descrittore, il responsabile della valutazione minima e quello della massima per sentire le loro ragioni. Li potrebbe condurre con diplomazia verso un accordo o potrebbe fare un po’ la carogna mettendoli uno contro l’altro: dipende dall’effetto scenico che vuole ottenere. Ma in tutti i casi l’obiettivo primario verrebbe raggiunto: piano piano quel vino comincerebbe a produrre emozioni nuove entrando nel cuore di ogni partecipante e ognuno lo sentirebbe come suo, non sarebbe più solo un vino, ma “il vino” che ha accompagnato un evento emozionante.

Il mondo ha paura della diversità e non la considera come ricchezza, qual è in realtà. E se la differenza di percezione in analisi sensoriale costituisce il principale elemento di accusa per definire imprecisa e inaffidabile questa tecnica di misurazione e la principale fonte di preoccupazione per chi conduce una degustazione, essa nella maggior parte dei casi non va depressa, ma promossa. È proprio la naturale differenza nella percezione che in analisi sensoriale vieta quasi sempre l’uso del giudice monocratico: per quanto bravo, non sarà mai rappresentativo di una popolazione. Ma se abbiamo a disposizione un gruppo (panel) questa umana caratteristica a volte diventa davvero preziosa.