Sensory News

Ricerche di mercato, tendenze sensoriali, nuovi metodi e analisi di prodotti
 

Il futuro del vino si chiama Cina?

Al corso in viticoltura ed enologia dell’Università di Udine, a studiare analisi sensoriale, oltre il 10% degli studenti era cinese. E gli studenti non erano dieci, ma 35! Vero è che a livello universitario è il corso più internazionale: c’erano pure cinque argentini, tre tedeschi e una serba, ma i quattro cinesi presenti mi hanno dato da pensare.

Sono curiosissimi, attenti, meticolosi, obbedienti, disciplinati e, pur non avendo la piena padronanza della lingua, molto interattivi.  Vogliono portarsi a casa il massimo e non si risparmiano, cercano di superare il blocco della semantica operando velocissimi con traduttori, ai quali peraltro molte volte manca il gergo enologico.

Per loro il vino è il simbolo di un nuovo modo di vivere, riservato a pochi (si fa per dire: centinaia di milioni di persone) ma indicatore di una nuova cultura. Ed è proprio dalla cultura che partono. Sono consci che per farlo apprezzare ne dovranno raccontare la storia e la sensorialità. La prima è relativamente facile, la seconda tutt’altro.

Percepiscono diversamente da noi: il dolce è troppo, l’amaro è insopportabile, l’acido si spera sia moderato, l’astringente è qualcosa che fa storcere la bocca e fa diventare ancora più sottili gli occhi a mandorla. Molto attenti ai profumi, che colgono in profondità, ma esprimono con parole diverse dalle nostre. Per poter fare il vino e per poterlo comunicare hanno quindi necessità di crearsi un vocabolario proprio, altrimenti i discorsi si fanno tanto gergali da risultare privi di significato per i più.

Presso di loro l’Italia gode di una fama che forse supera anche quella della Francia, ma sono adeguatamente seguiti e considerati? Forse no, forse bisognerebbe fare qualcosa di più per questo mercato, non solo proporre bottiglie, ma racconti, i racconti che stanno dietro l’etichetta. Ne vanno ghiotti.

E non solo per il vino, ma anche per il caffè, l’espresso, altro simbolo del made in Italy. Vino e caffè rappresentano infatti l’alternativa alla loro cultura del tè. Non la sostituiranno, saranno semplicemente un modo intrigante per fare qualcosa di nuovo che sarà indice di uno status ambito. In questo processo, noi dove ci collochiamo?

L’analisi sensoriale a difesa del Made in Italy

L’ultima edizione di Cibus ha intravisto uno spiraglio di luce per la ripresa del prodotto italiano nel mercato soprattutto internazionale, sostenuto dall’aumento dell’export confermato dalle stesse aziende produttrici. Una notizia certamente positiva, ma questo aspetto ha messo in evidenza anche un problema strettamente correlato al successo di un brand come può essere quello del Made in Italy.

Si tratta delle imitazioni che le nostre eccellenze gastronomiche incontrano in giro per il mondo. Certo, un fatto anche lusinghiero a testimonianza di quanto sia alto il valore dato alle nostre produzioni tanto da meritare una massiccia attività di copiatura che molto spesso sfocia in vere e proprie opere di plagio e contraffazione sostenute da politiche di difesa alquanto deboli e latenti, se non addirittura inesistenti.

Tale lusinga, però, ha delle profonde ripercussioni sia sull’immagine della nostra tipicità sia sulla nostra economia. Aspetto, questo, che sottolinea quanto le norme attuate a tutela dei nostri prodotti non siano sufficientemente forti da rappresentare un’arma di difesa per chi produce e uno strumento di garanzia per chi compra.

In Italia ci sono numerose istituzioni che difendono e tutelano i prodotti che rappresentano storia, tradizione e cultura attraverso marchi e disciplinari di produzione. Questi, oggi, non bastano più e sono anche inefficienti per lo sviluppo. Innanzitutto perché assicurano solo il minimo standard che i produttori devono seguire per fregiarsi del marchio e poi perché non sono affatto garanti della vera qualità del prodotto, conseguenza diretta di fattori imprescindibili come la materia prima, le tecniche di produzione e l’onestà intellettuale di chi produce. E poi perché non difendono anche l’immagine del brand che è facilmente imitabile e, a quanto pare, anche poco tutelabile.

Per evitare così la disgregazione del nostro brand e la polverizzazione in termini di promozione e tutela sarebbe opportuno fare fronte comune, difendendosi con un’arma assolutamente efficace: l’analisi sensoriale. Fare fronte comune su questo aspetto, significa dare ai produttori un strumento perfetto per caratterizzare le proprie specificità e nello stesso tempo offrire ai consumatori un metro di giudizio garante della qualità.

Infatti, l’analisi sensoriale permette di descrivere quello che è realmente percepito, quindi di valutare oggettivamente un prodotto e definirne la qualità. Ad avvalorare quanto affermato, anche la serie di interventi che hanno animato il programma del convegno ‘La progettazione del prodotto e l’analisi sensoriale’ tenutosi lo scorso 8 giugno al Tempio Adriano di Roma, organizzato da IASA in collaborazione con Agrinnova, progetto sviluppato dall’Azienda Romana Mercati.

Il dibattito, in cui sono intervenuti personaggi di rilievo del mondo della ricerca, del marketing, della comunicazione e dell’analisi sensoriale, ha fissato dei punti oggi imprescindibili anche per la tutela, valorizzazione e comunicazione del Made in Italy. L’estensione logica dei concetti espressi ribadisce quanto oggi sia fondamentale comunicare il vero e garantire quanto promesso. L’intervento del Prof. Zironi ha sottolineato quanto i rigidi disciplinari e le iper regolamentazioni rischiano di non essere al passo con i tempi e quanto la sicurezza generata dalle denominazioni quale automatico passaggio al successo sia oggi di minor appeal sul consumatore.

L’innovazione in questo ambito non significa tradire la tradizione e in un mondo globalizzato in cui la contaminazione culturale è sempre più evidente evidenzia quali azioni bisogna intraprendere per far percepire la qualità erogata: ed ecco che il marketing narrativo si rivela uno strumento ideale le cui fondamenta sono ancorate all’analisi sensoriale.

Se consideriamo il dato che l’Italia è il Paese con il più elevato numero di prodotti tipici e tradizionali a livello mondiale, si capisce quanto questo patrimonio sia assolutamente da proteggere, ma nello steso tempo è palese quanto questa ricchezza diviene difficile da difendere se ci si affida solo a rigidi regolamenti, difficilmente applicabili in ogni dove. Quindi, se la narrazione del territorio e dei prodotti è l’unico mezzo per comunicare e coinvolgere emozionalmente, come sostenuto dal Prof. Luigi Odello, tale racconto può farsi garante dell’esperienza del consumatore, anche se in capo al mondo.

Difendere il Made in Italy non è solo un fine economico ma pure un dovere culturale a tutela delle tipicità. Per concludere, si ribadisce che in questo modo la qualità può essere di tutti, ma la qualità ha un costo e l’analisi sensoriale, quale strumento di lettura e decodifica di ogni prodotto, può essere il mezzo per l’accettazione di tale onere.

Innovazione nell’analisi sensoriale dalla A alla Z

Il manuale del perfetto sensorialista: spunti, metodi e strumenti per conoscere, applicare e sfruttare al meglio tutte le potenzialità dell’analisi sensoriale

Sul prossimo numero de L’Assaggio – numero 38, estate – scopriamo come applicare la scienza dell’analisi sensoriale al mondo del food and beverage:

  • Nuovi metodi: dalla ruota degli aromi alla mappa sensoriale. Come costruire uno strumento di analisi specifico a un preciso prodotto e a una specifica cultura e come utilizzarlo per test, giochi e presentazioni;
  • Esempi di sale sensoriali per enti e aziende che vogliono finalmente proporre al pubblico un ambiente consono a presentazioni e a test;
  • Gli strumenti dell’analisi sensoriale: il tavolo d’assaggio innovativo e multifunzionale adatto a test, ma anche ad attività divulgative.
  • Panel leader: come può migliorare il rendimento dei giudici rendendoli più sensibili agli stimoli e più coraggiosi nell’esprimerli?

E inoltre…

Analisi sensoriale: si può applicare anche alla TV

No alla noia, sì al coinvolgimento emotivo. Sì alla professionalità e alla qualità delle informazioni fornite dai programmi. E attenzione alla bravura dei conduttori e al gradimento degli ospiti. L’analisi sensoriale ci svela perché alcuni programmi sono preferiti rispetto ad altri.

Vino: Brunello di Montalcino femme fatale o donna energica?

Il nuovo approccio alla descrizione e profilazione del vino Brunello di Montalcino che ha vinto il premio Soldera International Young Researcher’s Award. Semplicità di comunicazione supportata da ricerca scientifica solida e innovativa portano a scoprire i diversi stili sensoriali di questo importante prodotto.

Caffè: il caffè moka è buono ed è certificato

Ogni anno si vendono nel mondo circa 15 milioni di macchine per la preparazione del caffè moka. Circa il 50% di queste sono italiane. Scopriamo le caratteristiche di una tazzina di caffè moka certificato sensorialmente.

Caffè: tutto quello che non si fa per raccontare il caffè

Produttori, crudisti ed esportatori, torrefattori, baristi e scuole: tutto quello che viene fatto e che non viene fatto per raccontare, promuovere e comunicare il grande e affascinante mondo del caffè nel nostro paese.

Acqueviti e liquori: dall’Italia e dal mondo

Lo speciale acqueviti ci porta nel Regno Unito alla scoperta del Gin: storia, processo produttivo, normativa e profilo sensoriale dell’acquavite riportati scientificità e semplicità. E poi un tuffo nel mondo italiano dei distillati assaggiando grappa di Tocai del Friuli Venezia Giulia e nocino di Modena.

Prosciutto istriano: dop è più gustoso?

Ogni anno in Istria si lavorano prosciutti di grande qualità, ottenuti da suini nati e allevati nel territorio e trasformati con metodo artigianale e tradizionale, che prevede lunghi periodi di stagionatura.

Dopo una diatriba durata quasi 14 anni, i produttori croati sono recentemente riusciti a ottenere la denominazione di origine controllata per il prosciutto istriano, uno dei più importanti prodotti tradizionali. Tale riconoscimento giunge in seguito a un lungo lavoro di analisi sensoriale, che ha fotografato il percepito del prodotto in modo scientifico mettendo in evidenza le qualità del prosciutto istriano correlate alla colorazione delle carni e alla loro buona marezzatura, che porta ad avere un prodotto morbido anche se molto stagionato, dolce ma con alta sapidità legata all’elevata proteo lisi e con intensi aromi di spezie e di carne stagionata.

Non solo, oltre ad avere effettuato numerosi test di analisi sensoriale, i croati si sono dotati anche di un sistema sensoriale con tanto di giudici e di panel leader formati dai sensorialisti del Centro Studi Assaggiatori.

Tutto questo nella consapevolezza che la denominazione di origine aiuta a vendere di più o a un prezzo più alto quando certifica una qualità superiore che, in questo caso, è la più premiante per il consumatore, perché si basa sul piacere.

Ed ecco fatto il primo gradino verso un altro obiettivo: ottenere il riconoscimento dell’Unione Europea, un passo dietro l’altro per conquistare mercati ricchi con un prodotto di valore. In Istria sembra che abbiano compreso meglio di noi – che le abbiamo inventate – le indicazioni geografiche, visto che molte volte sono utilizzate per prodotti di scarso peso economico e culturale, quasi la denominazione di origine o l’indicazione geografica fossero un titolo nobiliare e non una possibile potente leva di marketing.

Innovare sì, ma nel modo giusto

Il successo di un prodotto è, nella maggior parte dei casi, decretato dal consumatore, a meno che non si tratti di un concorso o una gara, in cui interviene una giuria composta da giudici più o meno esperti che valutano i campioni. Ma quali sono le caratteristiche che un prodotto deve avere perché il cliente lo scelga e lo acquisti in mezzo a tanta concorrenza? Che cosa piace realmente al consumatore e quali sono i valori che fanno percepire un prodotto di qualità?

Queste sono domande che non può non porsi chiunque abbia a che fare con la creazione di un nuovo prodotto o l’innovazione di uno già esistente sul mercato se l’obiettivo finale è quello di venderlo e di conseguenza guadagnare. Senza considerare poi che nel caso di un rinnovamento è fondamentale tenere ben presente la storia e la tradizione che si celano dietro a quel prodotto. Dunque innovare va bene ma è importante farlo nella direzione giusta, mantenendo le caratteristiche che sono proprie e identificative di un determinato prodotto, aggiungendo plus che diano ancora maggior valore .

Scoprire se un prodotto innovato vale tanto quanto il suo predecessore e quali sono le qualità aggiunte sono alcuni degli obiettivi che si prefigge l’analisi sensoriale compiendo i suoi test. Applicando l’analisi statistica alla misurazione di parametri oggettivi e soggettivi giunge a profilare i prodotti in modo esaustivo partendo dalla valutazione fatta da giudici o da consumatori.

E comunicare in modo adeguato le scoperte fatte è compito di una nuova figura che si sta rivelando sempre più strategica in questo campo: il Narratore del Gusto che, attraverso nuove tecniche basate sull’applicazione dell’analisi sensoriale al marketing e alla comunicazione, ha molte carte in regola per esprimersi in modo nuovo e coinvolgente riuscendo nell’intento.

Il convegno organizzato dall’International Academy of Sensoy Analysis e dall’Azienda Romana Mercati, dal titolo “La progettazione del prodotto e l’analisi sensoriale”, che si svolgerà a Roma venerdì 8 giugno, partirà proprio da questi spunti per offrire interessanti riflessioni sul tema e proporre progetti concreti di innovazione.

Per partecipare al convegno scrivere a posta@romamercati.com

Scarica il programma del convegno.

Vogliamo dire grazie all’Ais?

In questi giorni i blog sul vino sono inondati da post e commenti sull’emendamento proposto dall’onorevole Bianconi – non passato – in virtù del quale sarebbero state attribuite all’Ais in esclusiva le nomine dei componenti delle commissioni di assaggio nei concorsi enologici. Il presidente Maietta ha affermato di non saperne nulla e noi non abbiamo motivo di dubitarne: in un paese in cui c’è gente che riceve casa da donatori sconosciuti e altra che non sa che cosa fanno i figli, questo ci sembra il meno.
Ma l’Ais la vogliamo ringraziare comunque, per il semplice fatto che esiste e che, quindi, ha dato modo a un parlamentare di formulare una proposta così abominevole.

Abominevole per tre motivi: tecnico, politico e di evidente incompetenza.
Sotto il profilo tecnico i concorsi si palesano come competizioni che indicano al consumatore modelli di qualità e quindi attribuiscono al produttore di un vino un vantaggio competitivo nei confronti degli altri. La questione è quindi molto delicata. E in questo ambito la capacità dei giudici (commissari) è basilare, ma soprattutto seguendo l’assioma che la qualità inizia in assenza di difetti. Se dunque volessimo individuare una categoria che può avanzare la pretesa di nominare i membri delle commissioni ci parrebbe più indicata quella che rappresenta i tecnici, cosa peraltro confermata anche sul regolamento per i concorsi enologici emanato dall’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino di cui l’Italia fa parte ed è uno dei maggiori contribuenti.

Ma giunti a questo punto, in assenza di difetti, quale vino dà maggiore piacere al consumatore? Qui sinceramente non ce la sentiamo di affermare che ci sia una probabilità statistica accettabile che cinque o sette persone, pur esperte, siano in grado di interpretare il gradimento che potrebbe essere espresso dai consumatori interessati. Ma se proprio l’onorevole Bianconi voleva fare qualcosa per migliorare l’affidabilità (quindi l’equità) e l’attendibilità dei concorsi, perché non è intervenuta chiedendo che vengano considerate le probabilità che ha un vino vincitore di ricevere il premio se venisse assaggiato più volte? O di considerare in termini statistici l’accordo tra i giudici, altro indice significativo per valutare la ripetibilità del giudizio? Oggi i concorsi non prevedono questi meccanismi.

Da un punto di vista politico l’intervento della parlamentare ci sembra quanto mai inopportuno: il mondo del vino ha la necessità di vedere tutte le risorse umane impegnate all’unisono nel suo miglioramento e nella sua promozione, un provvedimento del genere (che l’onorevole ha affermato di volere ripresentare) non fa che aumentare le divergenze tra le associazioni e, di sicuro, non volge a favore della sana concorrenza di mercato che è una delle bandiere del suo partito di appartenenza.

Infine, sotto il profilo della competenza, è tragico osservare come l’emendamento non tenesse minimamente conto di quelle norme internazionali che l’Italia ha contribuito a creare. Un esempio per tutti: con la normazione proposta l’Ais si sarebbe trovata nella necessità di nominare oltre il cinquanta per cento dei commissari tra tecnici che, a quanto ci risulta, hanno una loro organizzazione, peraltro decisamente forte. Forse ci siamo persi qualcosa: una volta, quando ancora esisteva il pudore, si parlava di criteri in una legge e non di una lobby.

Ma il bosco sa di balsamico o di terra?

Il perfezionamento delle mappe sensoriali, soprattutto nella parte che riguarda l’albero degli aromi, si sta rivelando di enorme efficacia nella formazione di giudici sensoriali e di narratori del gusto, nonché nella generazione di una descrizione dei prodotti capace di trovare rispondenza nel percepito della gente comune e quindi applicabile a etichette, cataloghi, recensioni su carta e sul web, presentazioni orali a pubblici variegati di professionisti e di amatori.

La parte più bella della costruzione di una mappa sensoriale è quella relativa all’estrazione dei descrittori mediante la tecnica della tavola rotonda, un gioco assolutamente scientifico che coinvolge anche i più apatici.

Lavorando sull’albero degli aromi è naturale che si debbano ordinare i descrittori emersi su determinati livelli. E qui è bello scoprire come ogni partecipante al test (o al gioco) abbia proprie vedute, tanto a volte da rendere la vita difficile al conduttore dell’assise.

Abbiamo quindi voluto svolgere una piccola ricerca per comprendere come i giudici raggruppano le note aromatiche percepite. Non l’avremmo mai detto, ma il sentore di bosco per alcuni appartiene alla categoria del balsamico, per altri  a quella della terra. E che dire del pan tostato che per alcuni sta nella pasticceria e per altri nei cereali? Potremmo continuare con la carne grigliata divisa tra fumo e bruciato, la terra bagnata tra la terra e la muffa, la mela tagliata tra la frutta fresca e ossidato.

Insomma, siamo alle solite: l’esperienza, la cultura e lo schema mentale portano gli individui ad associazioni molto differenti e quindi la classificazione si fa difficile e aleatoria. Ma tutto questo non indebolisce minimamente la tecnica: il genere umano ha la necessità di classificare per poter meglio imparare e le mappe sensoriali consentono di imparare giocando.

Inutile quindi voler essere troppo severi nella classificazione, non potrà mai essere univoca. In questo sta anche il fallimento delle ruote degli aromi e di altri schemi fissi che, originati da una cultura, vengono semplicemente tradotti e riproposti a culture completamente differenti. Se si vuole una ruota o un albero degli aromi che funzioni davvero occorre lavorare con centinaia di giudici e decine di prodotti facendosi aiutare dalla statistica, ma per fare una mappa sensoriale in locale (con un gruppo e una serie di prodotti) basta che il conduttore conosca bene le tecnica. Ed è subito un successo.

Un gioco per i Narratori del Gusto

Migliaia di persone al mondo oggi visitano cantine e trovano qualcuno che le guida nella visita e narra loro la storia dell’azienda, del vino e del territorio. A Porto, patria del celeberrimo vino portato dagli inglesi alla ribalta in tre secoli di storia (anno più anno meno), il turismo enologico è diventato una vera attività lucrativa e una quindicina di cantine, con sede a Villanova de Gaia, sono organizzatissime per portare il turista alla scoperta del prodotto.

Ne ho sperimentate alcune e una ve la voglio raccontare invitandovi a scoprire nel testo i dieci errori compiuti dal narratore che ha guidato il piccolo gruppo di cui facevo parte e da chi ha progettato e realizzato il tour. Da premettere che a Villanova de Gaia le cantine si sono organizzate in un’associazione che pubblica con dovizia di particolari quanto l’azienda offre da vedere e da gustare, quindi chi si accinge al percorso ha delle attese precise. Ma veniamo al nostro giro: eviteremo solo il nome, perché la citazione non sarebbe carina.

Bella la cantina, austera e imponente, di quelle che ti fanno precipitare nei secoli passati facendoti immergere, a luce soffusa, tra pietra e tini. Ottima l’accoglienza, che mi ha dato la netta impressione di essere atteso e non di fare parte della massa turistica traboccante dai pullman dei viaggi organizzati. Il nostro Cicerone, un uomo di portamento elegante sui trentacinque anni, si presenta in giacca e cravatta rivelando immediatamente gli effetti combinati di un raffreddore e di una notte in cui ha fatto le ore piccole. Ogni tanto non controlla il volume della voce che si affievolisce fino a perdersi nei suoi pensieri, evidenziando quanto possa essere pesante raccontare decine di volte al giorno la stessa storia. Ci avvisa che la visita durerà venti minuti e poi ci sarà la degustazione. I primi dieci li passiamo in una saletta dove un video ci racconta la storia del Porto e dell’azienda con abbondante uso di superlativi e di frasi da “effetti speciali”. Ci immergiamo quindi tra i tini e le botti che emanano l’aroma inconfondibile del vino che contengono. Con gesti che fanno ormai parte di un’abitudine consolidata la guida avanza di qualche passo, poi si ferma, sciorina un discorsetto, fa una battuta di repertorio (alla quale nessuno ride). Riesce così a fare passare i rimanenti dieci minuti in poco più di un centinaio di metri. Tale è la lunghezza del circuito della visita. Sul depliant era segnalato un museo: qualcosa c’è, ma la guida ci passa davanti senza mostrarcelo. Giungiamo quindi in una bella sala con volte d’epoca in cui ci accolgono tavoli neri sui quali sono disposti set di assaggio di due campioni, uno di bianco e uno di rosso. La guida ci dice che uno è Porto bianco e l’altro è Porto rosso (evidentemente pensa che sia la cosa più difficile da capire o la più importante da sapere) poi prende graziosamente commiato dal gruppo e ci lascia … con il naso nei bicchieri.

La progettazione del prodotto e l’analisi sensoriale

Dire che un prodotto, un uso o una tecnologia sono tradizionali significa affermare che fanno parte della propria cultura.  Stabilire le proprie tradizioni comporta quindi in qualche modo definire chi siamo sottolineando le caratteristiche di sé che si desidera mettere in evidenza.

Ma come definire tali caratteristiche? Sono ascritte in modo imprescindibile in qualche punto della storia rintracciabile come determinante e fondamentale? E come possiamo definire tale momento? Ciò che viene considerato aspetto  fondamentale oggi potrebbe non essere più ritenuto decisivo domani per via di mutamenti tecnologici o culturali. Secondo tale principio potremmo infatti definire come tradizione quanto stabilito nei disciplinari tecnici delle denominazioni geografiche, ma forse anche questi sono frutto della loro epoca.

Potremmo cercare il momento originario della nascita del prodotto e definire come “tradizionali” la sensorialità e le tecnologie dell’epoca, ma così facendo rischieremmo talvolta cercando un prodotto sempre più vicino all’ “originale” di dover adottare tecnologie desuete a discapito della qualità, e ricominciare ad esempio a vinificare come gli antichi romani, cosa di cui il consumatore forse non sarebbe lieto (sempre che non venga fatta un’opportuna campagna di marketing).

In conclusione, la tradizione è un’innovazione ben riuscita, un cambiamento che funziona e che quindi viene mantenuto e valorizzato. Nel momento in cui non funziona più si cambiano i riferimenti per definire ciò che è tradizionale. La tradizione è un vero e proprio processo e noi possiamo decidere cosa tenere e cosa buttare. È un gioco di equilibri: offrire qualcosa in cui riconoscersi e riconoscere la propria storia, la tipicità e le tecnologie proprie del prodotto, ma allo stesso tempo anche i gusti e le tendenze sensoriali di uomo del XXI secolo.

Si può innovare un prodotto tipico o deve rimanere cristallizzato nel tempo? Se è così a quale epoca deve rimanere fedele? Come si può innovare nell’innovazione offrendo un prodotto capace di soddisfare il consumatore? Quale apporto può dare in tutto questo l’analisi sensoriale?

A queste domande risponderà International Academy of Sensory Analysis  il giorno 8 giugno a Roma, durante il convegno svolto presso il Tempio Adriano in collaborazione con Agrinnova, progetto sviluppato dall’Azienda Romana Mercati.

Scarica il programma del convegno.

Narratori del Gusto: un’alternativa?

Vuoi perché sono stati presentati durante manifestazioni affollate come Vinitaly, vuoi perché incuriosiscono, i Narratori del Gusto stanno generando un notevole interesse e sulla nuova figura professionale che esprimono non mancano interrogativi importanti.

Il primo è posto dalle organizzazioni che da sempre si occupano di degustazione: il Narratore del Gusto è un’alternativa ad assaggiatori e sommelier? Assolutamente no, rappresenta una loro possibile evoluzione. Il Narratore del gusto ha una genesi un po’ particolare, perché prima è stata creata la figura professionale e poi l’associazione. Tutto partì dal progetto del Centro Studi Assaggiatori di mettere l’analisi sensoriale, con i suoi metodi e le sue regole scientifiche, al servizio della comunicazione di persona. Il progetto ebbe inizio da un nuovo format didattico per i venditori delle aziende che producono bevande e alimenti e si sviluppò con la messa a punto dei corsi di brand ambassador, conduttori sensoriali e guide sensoriali, quest’ultimo come upgrade per guide turistiche.

Di corsi avanzati ne vennero fatti, nel corso del 2011, due a Roma, due in Sardegna e uno ad Alba. Furono proprio gli allievi a sentire il bisogno della nascita di una associazione in grado di costituire il punto di riferimento per l’utenza (aziende alimentari, strade dei vini, consorzi di tutela e via discorrendo).

L’elemento fondamentale che distingue i narratori del gusto dagli specialisti di prodotto è il metodo. Le tecniche di comunicazione sensoriale che si usano sono sempre basate sull’interattività e sul gioco e rappresentano la modalità più efficace perché un consumatore possa memorizzare prodotti e territori in un contesto di divertimento e di relax.

I corsi per Narratori del Gusto sono quindi di due ordini: nel primo si apprendono queste tecniche, nel secondo ci si specializza sulla merceologia o su un territorio. Ecco perché assaggiatori e sommelier che sono già specializzati su un prodotto possono accedere appropriandosi di nuove tecniche per valorizzare l’attività che stanno facendo. Come d’altro canto si stanno avvicinando i comunicatori (giornalisti, opinion leader ecc.) per acquisire nuovi metodi da impiegare nella loro professione e le guide turistiche per ampliare il loro ambito operativo.

Per questo abbiamo già imprese e organizzazioni che aderendo ai Narratori del Gusto si sono offerte per finanziare un corso di base: per loro significa avere presso la loro sede venti persone che imparano attraverso i loro prodotti e quindi ne possono diventare ambasciatori, ma anche fare la conoscenza con professionisti da impiegare poi sul territorio nazionale (e non solo) in una attività di relazione continua che sta dando grandi risultati commerciali.